ilNapolista

Cesena è Boranga, portiere e poeta, oggi medico contro il doping

Cesena è Boranga, portiere e poeta, oggi medico contro il doping

Quando il Cesena mise il naso in Serie A per la prima volta, nel lontano 1973-4, dopo una splendida cavalcata da dominatore nella serie cadetta, le immagini che mi saltano alla mente sono due, contrastanti a modo loro e da clima opposto. L’estate e l’inverno. Ricordo quella stagione calda ed i rari servizi, forse di due o tre minuti, che i tg sportivi della Rai (c’era solo quella!) mandavano sulle squadre in ritiro. Tra queste c’era un’enorme curiosità su questa neo promossa che, al di là della “Romagna mia Romagna in fiore…” di Casadei strombazzata a più riprese di sottofondo al servizio, mostrava un perfetto mix di gioventù ed esperienza e tanta voglia di ben figurare in Serie A. Una volta le squadre si facevano così, vero? Un po’ di vecchietti reduci da stagioni in grandi squadre e quasi sul viale del tramonto e un manipolo di giovanottoni decisi a fare la loro parte nella massima serie.

Di quegli anni, non solodi quella stagione, mi viene in mente il volto di Cera, reduce da splendide stagioni al Cagliari, uno scudetto e le convocazioni in Nazionale, che rispondeva all’intervistatore sullo sfondo di ragazzi in tenuta estiva, rigorosamente bianco nera, che correvano e saltellavano sul campo di allenamento. “L’estate poi finì” dice una canzone ed io riannodo i fili. Arrivò l’inverno, siamo in pieno campionato e l’immagine del campo di Cesena, allora fatto di erba vera con zolle vere, che ci si presenta a “Novantesimo minuto” è quella di uno stadio perennemente o quasi avvolto dalla nebbia. E da quella foschia spuntavano fuori la pelata di Frustalupi (papà del vice di Mazzarri), stagioni all’Inter e poi alla Lazio campione d’Italia dove era il faro del centrocampo, la faccia da ragioniere compassato di Pierluigi Cera e poi loro, i capelli col riporto di Ammoniaci, il saltello del fratello di Savoldi, il nano veloce Toschi, una specie di reincarnazione di Oscar Tacchi, giovani baldanzosi e atletici come il roccioso Danova, il motorino Festa, il lungagnone Braida (poi manager al Milan).

Ma soprattutto venivano fuori i baffoni di uno dei portieri più matti della Serie A di sempre, quelli di Lamberto Boranga, futuro dottore. Fortunatamente ogni tanto capita che la “letteratura sportiva” dedichi un volume ai tipi “strani” ripercorrendone gesta, pazzie, parate, acrobazie varie, dribbling, tackle, amori impossibili e goal di tacco. Ed allora ben vengano storie, cariche e sorprendenti da un punto di vista umano che raccontano vita, morte e miracoli di personaggi legati al mondo del pallone. Ad oggi libri che ci hanno detto chi erano veramente Paolo Sollier, Gigi Meroni, Manlio Scopigno, Bruno Pesaola, Giorgio Chinaglia, Agostino Di Bartolomei, Gianfranco Zigoni, Ezio Vendrame, sono volumi che mi sento di consigliare a chiunque ami l’altra faccia del pallone, quella con vista sul lato… umano. E se facciamo caso ogni squadra, piccola o grande che sia, ha avuto un personaggio con la P maiuscola, qualcuno che delle regole ferree del calcio se ne fregava un bel po’ anche a discapito di una professionalità che voleva il calciatore modello. In fondo, dimostrando semplicemente di essere sé stessi, senza fronzoli e triccaballacche, questi calciatori, icone del pallone più anarchico che ci sia, non hanno fatto nulla di eclatante. Secondo loro, appunto.

Uno di questi è stato, appunto, Lamberto Boranga, uno che si tuffava quasi sempre sui piedi dell’attaccante avversario senza paura perché se c’era una cosa che amava fare era il contatto col pallone, il volo verso terra. Il suo è stato un amore incondizionato, un amplesso totale con la parata, con l’afferrare il pallone, abbracciandolo stretto. “È mio”, il motto del futuro medico. Un giocatore che è stato clown da stadio e portiere temerario, para rigori, ragazzo scapestrato eppure studente preparato. Pronto a scherzare ma anche a menare le mani, donnaiolo incallito, poi marito esemplare. Boranga fu anche allenatore e dirigente ripercorrendo altri ruoli nel mondo del calcio ma è stato ed è ancora poeta e scrittore. Visse, da sportivo, alla grande, togliendosi tutti gli sfizi possibili ed immaginabili, fece politica impegnandosi molto e raggiunse il suo sogno nel cassetto anche abbastanza presto, quello di fare il medico dello sport dove continua a lottare contro il doping. Lo spirito agonistico, l’amore per questo sport, lo portarono a giocare fino a 51 anni nella Prima Categoria umbra dove da giocatore-allenatore fece ancora una volta miracoli in campo. Divertendosi e non tagliando mai il cordone ombelicale con la vita che passa, con la giovinezza che non c’è più.
Davide Morgera

ilnapolista © riproduzione riservata