
Maledetto il calcio spezzatino! Alle 11.04 di domenica 7 dicembre, con gli occhi ancora cisposi, ci avviamo verso il San Paolo con un cielo che preannuncia sole e un bel tepore ad aspettarci sugli spalti della curva B. Da WhatsApp gli amici già allo stadio lanciano un allarme. Correte o le famigliole della "domenica Pic-Nic allo stadio" ci occupano la balconata! Allora maledetti anche i prezzi ridotti! - che tra l'altro svalutano i nostri abbonamenti. Per fortuna è solo uno scherzo.
Quando alle 11.18 emergiamo sotto al pilone 10, la balconata Zerazzero - così abbiamo battezzato il settore dove tutte le domeniche in circa trenta di noi, tutti abbonati storici e amici di stadio di vecchia data, ci coaguliamo a sostegno delle truppe azzurre - è semi vuota come lo è il resto dello stadio. Mentre scorrono i rivoli dei commenti sugli argomenti calcistici del giorno, mi giunge all'orecchio una domanda formulata con un accento clamorosamente nordico: "Scusami, hai mica una cartina?" Mi giro e vedo due occhiali col più classico fondo di bottiglia, e i ricci rossicci di un ragazzo sui ventisei. Segue gentile offerta di cartina con domanda annessa: "Di dove sei e che ci fai qua?". Risposta. E' un giovane operaio del Mantovano, sceso in gita per il ponte insieme ad alcuni compagni di lavoro di Torre del Greco. E l'idea di andare a vedere Napoli - Empoli. Mentre mi rollo anche io una sigaretta, una perla di sudore mi cola sulla tempia. E non è l'insolito caldo dicembrino. Un tremore interno, come un presentimento. Una voce dentrodi me sussurra di tagliare corto con l'appena iniziata conversazione e lasciare che il potenziale corvo si allontani. Ahimè, prevale la tradizionale ospitalità partenopea. E poi che diamine! Così dovrebbe essere tutte le domeniche, con gente di fuori che viene a fare il turista del calcio da noi come si fa a Monaco di Baviera o a Liverpool. Così mi piacerebbe che fosse il calcio.
Lo stadio, alla fine un po’ si riempie. Le curve sono invece strapiene. La conversazione col ragazzo, tifoso del Mantova di nome Francesco, prosegue. Si interessa della nostracultura del tifo e della storia delle curve. Lui mi espone la sua teoria su come certi fenomeni di becero squadrismo siano apparsi soprattutto a ridosso dei mondiali del '90.“Troppa politica negli stadi” mi fa. Mi trovo d'accordo con lui.
Scatta l'ora del tradizionale panino, che questa volta era torta rustica più panino. Più clementina. Più tortino wafer. Grande Signora N.! L'ospitalità obbliga ad offrire al nordico un po’ di questo e un po’ di quello.
Le mie nevrosi scaramantiche si sono nel frattempo affievolite, avendo notato come l'interezza della nostra “paranza” abbia assorbito senza colpo ferire - tutti partecipi della già detta qualità partenopea - la presenza dell'ignoto testimone di cio? che sarebbe di lì a poco accaduto.
Tutti in fondo sono sereni, fors'anche perché fiduciosi come sempre e come sempre pronti a concedere infinito credito ai nostri. Che diamine, è pur sempre l'Empoli... Nel frattempo l'area pic-nic San Paolo raggiunge il suo apice di densità; famigliole ammucchiate sui gradini gialli, anche perché i seggiolini sono finiti. La gente continua ad affluire. Ma quanti biglietti staccano? Anche quando l'arbitro fischia l'inizio ed io mi accendo la sigaretta rituale, c’è gente che continua ad arrivare ansando. Per i gradini, non per la fretta.
La partita regala poche emozioni. L'Empoli è ben sistemato e si vede. Scatta il contropiede funesto, nessuno argina, nessuno insegue; si guarda la palla come sui campetti diparrocchia. Uno a zero per loro.
Gli spettatori attorno a noi si lamentano e bestemmiano. Tutti inveiscono contro i giocatori. Tutti tranne le centinaia che a capo chino da venti minuti stanno fissandoi loro smartphone... Tutti tranne quelli che, sebbene siano le 12.55, continuano ad arrivare per il pic-nic.
Davanti a me la chioma brizzolata di Stefano C., uomo di indubbia fede partenopea, stimato rappresentante di commercio, ma noto agli amici per essere per così dire "fumantino". L'osservo nel suo incipiente bollore. Vibra come una pentola d'acqua lasciata troppo a lungo sul fuoco. Sull'occasione fallita da Maccarone, mi accorgo che le orecchie di Stefano C. sono rosse. Su quella mancata da Ciccio Tavano, si volta verso di me. In realtà, si volta prima verso di lui, il mantovano. Poi fissa me per un paio di secondi lunghissimi. Non dice una parola e torna al campo. Il tapino dai capelli rossi si sta godendo lapartita, almeno lui, salvo sottolineare ogni clamorosa esitazione, ogni sbalestrato ripiegamento, ogni cross lisciato dai nostri. Per carità, si tratta della fredda cronaca, dell'amara verità. Ma la sua voce fa eco nelle nostre orecchie ospitali.
Lo appassiona particolarmente la maniera che abbiamo di accalorarci con gesti, versi, parole, imprecazioni, per ogni singolo fatto sul campo. Da loro al nord non capita,dice.
Intervallo. Il tipo si allontana; per qualche minuto raggiunge i suoi amici, che io non riesco ad identificare nella folla. Stefano C. coglie immediatamente l'occasione:"Fabri’, ma quann' se ne va chist'?"
Invece non se ne va; anzi torna. Poi caffè Borghetti, sigaretta. Secondo Borghetti. L'arbitro fischia il secondo tempo e nuova sigaretta. Manco la finisco e becchiamo il secondo. Mi dispero e mi comincio a preoccupare. Per il risultato e per l'ospite. Nel frattempo, l'ira di Stefano C. sta montando neiconfronti di coloro che, a suo dire con grave colpa, affollano lo stadio occasionalmente. Come dargli torto? Attorno a noi, la gente si distrae comprando bibite ebiscotti, e ritraendosi in tediosi autoscatti (in italiano si dice così). Poi esce Hamsik. Partita pessima del capitano. Partono i fischi.
I partecipanti al pic-nic sono quelli che protestano di piu? nei confronti della Cresta Slovacca. Stefano C. non si trattiene più ed io nel dubbio mi frappongo tra lui e Corvo Rosso, come ormai dentro di me ho ribattezzato il Mantovano.
Stefano C. se la prende in realtà con gli "occasionali". Frasi qui irriproducibili per non ferire la sensibilità del lettore. Provo a calmarlo con delle pacchette sulla spalla.Ma lui strilla per un paio di minuti interi. Non gli posso dare torto. “I giocatori non si fischiano a partita in corso, si sostengono!” è il concetto. Specialmente non si contesta così chi ha scelto questa città e le sue orribili contraddizioni ben otto anni fa. Il Mantovano è ammirato dallo sfogo di Stefano C. e si confida con me dicendomi che il mio amico ha perfettamente ragione. Annuisco.
Il Napoli sembra rianimarsi, forse per l'apparire di un barlume di dignità, forse per il cambio di modulo al 4-4-2 con l'ingresso del grasso Higuain. O forse per caso. Crossdi Maggio, zucca di Zapata. Gol. 1-2. Le gole si squarciano nell’urlo collettivo; c’è una speranza. La palla è pur sempre rotonda. Il giovane operaio del nord si esalta. Ecanta anche lui: "Devi vincere! Vincere! Vincere!" Incredibile.
Entra De Guzman e con regolare puntualità, come la posta Olandese, fa gol. 2-2. Da non credere. Il Mantovano viene adottato improvvisamente come talismano: "Vien cca?! Nun temovere acca?!" Per le pacche che riceve sulle spalle soffrirà per sempre d’asma.Ha esultato come ad un gol del Mantova. Anche il suo gelido cuore padano si scalda. Non si scalda invece la partita, che dopo quei due intensi sussulti si atrofizza. Nulla accade. Il sole è sparito da un pezzo dietro infide nuvole e fa più freschetto.
Se ne giova il nordico. Non noi. Tuttavia divido con lui il mio terzo Borghetti. Mi chiede un'altra cartina. La sua vocetta, un po? quequera, stride con l'atmosfera di pathos.Essa è priva di tensione. Come un rettile, Stefano S. capta il cambiamento di temperatura. Si volta al minuto 88’ verso Francesco il mantovano e gli ruggisce, eufemisticamenteparlando, di “stare zitto”. Il ragazzo accusa il colpo. Lo vedo sbiancare di paura mentre Stefano C. gli vomita addosso il suo pensiero, ben più lungamente articolatodelle mie due semplici parole. Rincuoro il ragazzo: stai sereno, è un padre di famiglia. E’ solo un po’ nervoso... Francesco pare comprendere. Non solo. La sorte sembravoglia girare dalla nostra parte. Gli amici di Torre del Greco, ora li vedo, lo stanno chiamando. Vogliono lasciare lo stadio, prima che ci sia ressa. Lo consiglio di seguirlisenza indugio; hanno ragione! Lui vorrebbe scambiare la mail per poter ricambiare l’ospitalita? qualora qualcuno di noi andasse in trasferta al nord. Lo ringrazio ma no, e losaluto con un faticoso sorriso e una vigorosa pacca sulla spalla che lo spinge finalmente via verso le scale, gia? vuote perche? il pic-nic sta finendo e la gente ha in buonaparte gia? rimesso le masserizie nei cestini.
Noi restiamo. C’e? sempre speranza. Tempo di recupero quasi scaduto. Palla lunga verso l’area, De Guzman la segue e l’impatta. Dai De Guz che Corvo Rosso se n’è andato! Ma la?in porta, a difendere la bella partita dei ragazzi di Sarri, è rimasto il cucciolo azzurro Sepe. Parata acrobatica. Di classe. Finisce così, 2-2.
Maledetto calcio spezzatino... Approfitto di un passaggio di Stefano C.. Parliamo poco nel traffico. Gli chiedo solo, così per sdrammatizzare, a che ora gioca la Samp per vedere il fantomatico acquisto, o presunto tale, Gabbiadini all’opera contro il Verona. Lunedì alle 21, risponde.
“Ah... Vabbuo?... ho la partita di calcetto alle 21.” Per radio passano le interviste di radio Marte. Telefona Antonio da Acerra. “Zapata a parte il gol non ha fatto niente!” Ma cosa dovrebbe fare un attaccante, mi chiedo. “Sai Ste’, preferisco avere il mantovano vicino anche domenica prossima, invece di Antonio di Acerra”. Stefano C. mi fissa per due lunghissimi secondi. Ghigna con amarezza e mi fa scendere sotto casa.
Fabrizio Livigni
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