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Rileggere Braudel aiuta a capire il rapporto tra Benitez, Napoli e De Laurentiis

Rileggere Braudel aiuta a capire il rapporto tra Benitez, Napoli e De Laurentiis

Fernand Braudel è stato uno storico francese e uno dei maggiori esponenti del rinnovamento della storiografia nel corso del XX secolo. Prosecutore di Bloch e di Febvre, anche come direttore (1956-1972) della rivista annales, nel bel mezzo della creazione della Storia come Scienza, ha organizzato le sue opere seguendo una distinzione tra il ritmo breve degli avvenimenti (i “fatti” superficiali) e quello a “lunga durata” proprio dei cambiamenti sociali profondi.

Collaborò anche con Corriere della Sera e proprio per il Corriere nel giugno 1983 scrisse un articolo su Napoli. Lui che fu, in quella città, “viaggiatore frettoloso” per sua stessa ammissione si interrogava sulla sorte di Napoli e dei napoletani. Cosa sarebbe stato dell’Italia se Napoli, unica città di dimensione europea al momento dell’unificazione fosse diventata capitale? Cosa sarà delle intelligenze che a Napoli nascono e poi si diramano per tutta l’Italia? Un conciso articolo su una città che ha un credito da riscuotere con il suo Paese (l’articolo è consultabile qui) che ci dà l’opportunità di intrattenerci con l’incauto passatempo del cercare in uno sport, e nei suoi corollari, un altro modo di valutare la società.

Nel considerare la squadra di calcio come riflesso della città (e non diciamo che sia effettivamente così, tantomeno che sia giusto…) alcune riflessioni di Braudel sembrano spiegare i comportamenti tipo dell’ambiente partenopeo. Estrapoliamole malamente e annotiamo qualcosa a margine.

Napoli “altezzosa” e non dimentica della sua vecchia dimensione; Napoli, per B., «europea prima che italiana, essa ha sempre preferito il dialogo diretto con Madrid o Parigi, Londra o Vienna, sue omologhe, snobbando Firenze o Milano o Roma…». Il che è fondamentalmente il motivo per cui non si può perdere contro il Chievo (un quartiere!) o una Udinese qualsiasi. Si sovrappone il peso (presunto) della città con il blasone (tra l’altro immaginato) della Società Sportiva. Non poter perdere diviene così una questione ontologica: per sua stessa natura non è concesso al Napoli perdere con squadre la cui città potrebbe essere ospitata per intero (o quasi) nel solo San Paolo (al netto delle ristrutturazioni). Più o meno il motivo per cui preferiamo pensare davvero di poter trattare alla pari dell’Arsenal un giocatore o si preferisce urlare “de cempions” per quattro volte in due mesi piuttosto che alzare una Coppa Italia, che, in quanto d’Italia, tutta sta soddisfazione non la dà. E Benitez doveva essere la garanzia di questo, anzi a dispetto di quanto si predichi nei giornali e nelle televisioni è questo l’appeal che il tecnico spagnolo esercita sul tifoso.

Napoli e il sogno della potenza: Braudel immaginava che, dopo l’unificazione, l’Italia avrebbe potuto preservare le proprie peculiarità facendo ruotare la capitale. Ogni cinque anni una grande città diversa avrebbe ricoperto quel ruolo, poi però ci ripensava: «Napoli avrebbe saputo attendere tranquillamente? Temo di no: essa ama troppo la vita e le gioie della potenza per cedere a simili generosità… Facilmente la credo capace di un immenso coraggio, non del gusto del sacrificio. Non la vedo rientrare nei ranghi dopo avere occupato la prima pagina: per conservare questo posto, ha scelto di essere diversa». Qui la campana potrebbe suonare, per chi è immaginabile. Il progetto, l’equilibrio, rimanere saldamente nelle prime posizioni e ogni tanto vincere, insomma: crescere per giocarsela. Valutare la possibilità che a volte si debba abbassare la cresta senza farne una tragedia. Così B. (l’allenatore) parla alla città descritta da B. (lo storico) e a noi che abbiamo ancora tatuato il Diego sui muri e nei cavalcavia, che vogliamo splendere, anche solo per qualche anno, e poi continuare a ricordarcene davanti al caminetto, raccontarlo ai nipoti piuttosto che portarli allo stadio. B. (lo spagnolo) predica pazienza per i giovani che cresceranno e per chi troverà la condizione, parla di un cambio di mentalità ma qui B. (il francese) serve da ammonimento: Napoli sceglie di essere diversa e, aggiungerei, copre con questa idea molte magagne e incapacità. Una città che vuole vincere, nell’immediato, e poter tornare a guardare tutti dall’alto in basso: ecco il sentimento che sembra sempre venire fuori dai cori dello stadio. Non aspettare, non programmare. Ancora una volta pretendere dallo sport quanto non si può (vuole?) dimostrare con la vita quotidiana. Siamo il popolo dei botti noi, mica dell’estrazione mineraria. La confusione tra città e società sportiva ancora regna sovrana, lei sì, in questo ragionamento. Mascherando Napoli dietro il Napoli, ci si dimentica che è una società sportiva, con delle regole proprie e una vita non facilissima alle spalle e si pretende da lei quel comportamento umorale che dovrebbe rispecchiare i cittadini. 

Napoli e i suoi padroni, «Eccettuato Masaniello per qualche settimana, Napoli non si è data la pena di produrre alcun governante indigeno. Tutti sono venuti da fuori: Normanni e Angioini, Aragonesi e Castigliani, Spagnoli o Ispanofrancesi (coi Borboni), e di nuovo Francesi con Murat. Tutti, anche, hanno dovuto fare i conti con questa città enorme, che sfuggiva loro incessantemente e che controllavano solo in apparenza. Ma tutti hanno finito per lasciarsi prendere dal gioco; ed io capisco come Murat abbia cercato disperatamente di salvare il suo trono e di averlo preferito, non senza coraggio, alla propria vita. […]Nessuno, di quei sovrani di ieri, che non abbia dovuto annegare nel sangue di molteplici rivolte; nessuno, neppure, che non abbia lasciato dei rimpianti, nemmeno gli spagnoli, nemmeno i Borboni, che a Napoli hanno ancora i loro seguaci inconsolabili». Il grande padrone “straniero” accomuna di nuovo la squadra e la città, se vogliamo rintracciare nella continua ed esasperante invocazione di De Laurentiis alla napoletanità proprio una excusatio non petita all’americo-romanità del personaggio. Anche B. (quello rubicondo) è uno straniero e non è un caso se i due siano costantemente sotto attacco. La rivolta, il tumulto è sempre dietro l’angolo e improvvisamente scompaiono sorrisi e tweet, la piazza non è calorosa: è calda. Invoca teste e solitamente se le prende anche, trovando come valvola di sfogo la distruzione (perché poi della successiva ricostruzione si fa sempre in tempo a lavarsi le mani). Chi dovrebbe ricoprire il ruolo di Murat? Non Benitez, che è il generale sul campo. Piuttosto non si fa fatica a credere che De Laurentiis preferirebbe tagliarsi un braccio che dare il suo giocattolo ad altri, lo si nota nella tanto analizzata gestione societaria. Vendere di qua, vendere agli altri, aprire ai soci: arabi, cinesi e mammaliturchi. Si parla tanto del De Laurentiis imprenditore, attaccato ai soldi, ma questa è una visione monca delle vicende umane (e può sembrare stupido ma una squadra di calcio è una vicenda umana). La possibilità è più che De Laurentiis avesse comprato una macchinetta per far soldi e poi, anche lui, ci abbia preso gusto. Abbia preso gusto ad essere il capo, a passare improvvisamente dalla parte opposta delle macchine da presa, a partecipare a giochi di potere vari, a presentarsi come salvatore delle squadra (e della città), a contrattare con i sindaci. Non venderà a cuor leggero, lo farà solo se in contrasto insanabile con i suoi conti in banca (e fino a quando comanderà solo lui farà bene in modo che questo non succeda); vuole ancora scappare in scooter e scoprire che la star è lui. Oppure Napoli caccerà tutti e due e dopo, dimenticandosene anche gli errori, esporrà i loro santini in qualche garage o autorimessa.

Tutto molto bello, e quindi? Quindi resta il dubbio che Braudel nel spendersi in quella che fondamentalmente è un’apologia di Napoli (una Napoli che non c’è più, quella del 1983) forse si lasciava anch’egli portar via dalla città. Il sospetto è abbia scritto molto riguardo l’immagine che i napoletani vogliono dare di se, quello che amano e vogliono sentirsi dire. È psicologia spicciola, ma è una delle questioni più pericolose: le persone, e anche le società, più che voler essere capiti desiderano essere riconosciuti in base alle idee che hanno di se stessi. Benitez leggendo Braudel forse avrebbe qualche linea d’interpretazione in più riguardo la realtà che lo circonda. Non i fatti, sia chiaro, ma le idee che circolano, quello che si pretende dal Napoli Calcio. O forse, sperando che non faccia le valigie, è meglio che ne rimanga all’oscuro.
Fabrizio De Falco

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