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L’amore non ammette fischi. Chi fischia giudica, non ama

Capisco che chi paga il biglietto ha il diritto di fischiare, come si suol dire. Ma, allora, non andiamo a sbandierare il grande pubblico napoletano del San Paolo come il migliore e il più appassionato del mondo. Fare il tifo allo stadio è un atto di amore per la propria squadra e l’amore non ammette i fischi. Chi fischia giudica, non ama.
Chi fischia un ragazzo di 23 anni, per giunta di casa, è un giudice crudele. Il tifoso che ama veramente la maglia azzurra soffre nelle giornate negative della squadra o di un giocatore, si “mangia le mani” sugli spalti, batte i piedi per l’impazienza e la delusione. Ma deve incoraggiare a gran voce i propri beniamini proprio nelle difficoltà. Questo è tifo. Perché il tifo vero è proprio cieco come l’amore. Si vuol bene a prescindere.
Chi ricorda che anche Maradona fu fischiato ripropone un altro episodio spiacevole del “grande pubblico napoletano”, un’altra negazione del suo presunto amore. Maradona è stata la gioia del calcio. Diego è stato il più splendente esempio di amore per Napoli. Averlo fischiato, nel suo periodo più duro e infelice, è stato un atto crudele.
E’ vero che noi giornalisti non siamo migliori del pubblico quando scriviamo le nostre “sentenze” soprattutto nello stilare le “pagelle” che non sono il meglio del giornalismo sportivo e titillano solo la “pancia” del tifoso. Ma le “pagelle” appaiono il giorno dopo, fanno un danno relativo rispetto ai fischi “in diretta”. Un giocatore vuole piacere al pubblico non ai giornalisti. E, credetemi, “fare le pagelle” non è un bel mestiere perché, spesso, nella fretta di scriverle, dimentichiamo anche noi una certa moderazione, finendo col fare la gratuita figura dei sapientoni.
Continuo a sostenere che i fischi a Insigne, nella partita contro la Lazio, sono stati indegni. E’ vero che solo una parte (piccola?) dello stadio ha fischiato e che un’altra parte del San Paolo ha cercato di coprire quei fischi con un applauso. La “parte piccola” ha voluto ferire un ragazzo, cioè il giocatore più fragile soprattutto in quel momento. E’ stata cattiveria pura. E’ stato come schiaffeggiare un bambino. E’ stato un atto di pura prepotenza.
Sarò un sentimentale, ma io la vedo così. Lorenzo Insigne ha bisogno di crescere, di affinare il suo estro, non è ancora un campione, ma potrebbe diventarlo. Non saranno i fischi a farlo “crescere”. Potrebbero anzi condizionarne il futuro perché non tutti, ripeto, hanno il carattere di Antonio Juliano, che sopportò e superò la solita contestazione “casalinga”, quella presunzione napoletana di voler abbattere il ragazzo di casa per non so quale motivo particolare, quale “gusto” specifico, quale “godimento” autolesionistico.
Non mi sembra, poi, che Insigne abbia atteggiamenti divistici, che si senta un fuoriclasse, che non abbia l’umiltà di battersi per la squadra. Era molto condizionato da Cavani, si sente più libero con Higuain e ora cerca maggiormente la prodezza individuale. Ma contro la Lazio non si è risparmiato, ha coperto in difesa in una serata in cui il suo estro era spento e sicuramente ne soffriva. La sua reazione ai fischi, non volgare, è censurabile molto meno dell’ingiusto “trattamento” ricevuto.
Il San Paolo deve essere uno stadio di amore accompagnando con pazienza, dedizione, comprensione questo nuovo progetto, la squadra e i suoi protagonisti e, ripeto ancora, con una particolare e affettuosa attenzione per chi ha bisogno di crescere nella totale solidarietà di cuore.
MIMMO CARRATELLI

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