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L’Italia calcistica se la sogna una polemica Miliband-Di Canio

Fascismo, antisemitismo, un papà ebreo perseguitato dai nazisti, un leader politico che si dimette dal board di una società di calcio in polemica con l’ingaggio di un allenatore che non ha mai nascosto le sue simpatie politiche di destra. Il risultato è un dibattito che in Italia possiamo soltanto sognare. Noi che tutt’al più ci accapigliamo la domenica sera davanti alla moviola e che il pallone è una roba che mica c’entra con la politica. Come se la politica fosse un mondo a sé.

In Gran Bretagna, evidentemente, non si ragiona così. In Gran Bretagna succede che l’ex enfant prodige del partito laburista, David Miliband (a proposito, recentemente sconfitto dal fratello all’interno del partito, ha già lasciato la politica attiva, a 48 anni) lascia il suo posto nel Sunderland, società di cui è tifoso. “Auguro al Sunderland tutto il successo possibile. Tuttavia, alla luce delle affermazioni politiche espresse in passato dal nuovo allenatore, è giusto che io faccia un passo indietro”, ha scritto sul suo sito l’ex ministro degli Esteri.

Il dibattito è ovviamente aperto. Si può essere d’accordo, oppure no. Ma in Gran Bretagna, e magari per una mezz’ora anche in Italia, il calcio deraglia dai binari canonici e scopre che là fuori c’è un mondo e che il rettangolo verde non è sinonimo di extraterritorialità. Da noi il calcio, invece, non vede non sente non parla. Come se il tema non esistesse. Come se l’antisemitismo non fosse un fenomeno che prende sempre più piede in alcune curve d’Italia. Come se l’imperativo fosse di parlare esclusivamente di arbitri, rigori, fuorigioco, e magari diritti d’immagine, per stare a un argomento noto ai napoletani.

Certo da noi non accade quasi mai che un leader politico sfidi una piazza calcistica in maniera tanto eclatante e profonda. E il teatrino mediatico-dirigenziale non ha proprio alcuna voglia di impelagarsi in altro. Eppure, andando solo a ritroso con la memoria, casi da ricordare ne abbiamo avuti anche noi. Forse il più importante resta quello relativo all£attaccante israeliano Rosenthal, prima acquistato dall’Udinese e poi costretto ad andar via dopo la comparsa di frasi antisemite in città. Era il lontanissimo 1989. Ufficialmente il calciatore non superò le visite mediche. L’ipocrisia, in questi casi, regna sempre sovrana.

Lontani, remoti, sono gli anni Settanta, quando un certo Paolo Sollier salutava a pugno chiuso i tifosi del Perugia. Attuali, attualissimi, sono invece i cori antisemiti dei tifosi della Lazio. E non solo. Ma è roba da appassionati al tema. Il grande pubblico, da noi, si ciba d’altro. In fondo chi vuoi che sia questo Miliband.
Massimiliano Gallo

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