Ieri ero di servizio in curva A, io volontario. La compagnia (allegra e gentile) formata da: due medici e tre infermieri. Ci sediamo attendendo che NESSUNO si faccia male, ovviamente non per guardare la partita in santa pace, almeno non solo per quello. Sei-sette ragazzini al centro della curva, nella zona inferiore, sono appostati come iene in attesa che passi la loro preda.. “o pallone”.
Arriva la prima… secondo tempo, palla calciata troppo forte e diretta in curva trova i ragazzini pronti, modello portiere di rione. Salti, corse ed eccolo, lui che riesce a prendere la palla e la mette sotto la tuta. Si gira, rigira e continua questo movimento per interminabili minuti, finalmente, mentre si sposta da un lato all’altro della curva, si tranquillizza. Arriva alla fila accanto alla mia, un singore (distinto) lo guarda con ammirazione e lui prova a vendergli il trofeo per 50 euro.
Lo J.R. del momento rifiuta l’offerta ma gli dona un sacchetto di cartone marrone con la scritta Mc donald’s. Il ragazzo, senza pensarci, mette la palla nel sacchetto ma invece di guardare la partita, continua a girarsi a destra e sinistra. Il motivo l’avrei scoperto ben presto. Uno della mia “squadra” mi dice che spesso trovano il “fesso” che compra il pallone. Incredulo, continuo a guardare la partita aspettando il terzo gol. Ecco che arriva un inamidato maiale vestito come un mix perfetto tra scaricatore di sigarette di contrabbando (di quelli che mettevano le magliettine a mezza manica arrotolata, possibilmente con pacchetto tra spalla e manica) e militare in guerra. Cammina come fosse Solo sulla faccia della terra.. lento e minaccioso. Scruta ogni sediolino fino ad incrociare lo sguardo del ragazzo. Il nuovo hulk scuote la testa, manco fosse un gallo cedrone, il ragazzino prende la palla dal sacchetto (che resteràgonfio di nulla ai piedi del sediolino) e gliela passa. Hulk (la “h” maiuscola è voluta perchè il signor X si sente più grosso di prima) si gira e se ne va.
Tutti gli sguardi, adesso, sono rivolti al ragazzino. Lui ha gli occhi pieni di lacrime, l’amichetto (“chillo è natu fetente è mmerda” mi dirà uno degli infermieri accanto) gli chiede: “che è succieso? jà vieni nè pigliammo n’ato.” La risposta è con un fil di voce ma impostata artificialmente, forse per non versare quelle lacrime che darebbero a quel volto la giusta età da ragazzino, “ma che me ne fotte d’ò pallone. nun fa niente!” si alza e se ne va. Forse a casa, forse per strada, forse a bestemmiare la sfortuna, ma prima vuole concedere ancora spazio al mio stupore. Ci guarda fissi negli occhi, stringe i denti e dice: “chillu guardio è mmerda, se vedeva.. era nù guardio” per poi allontanarsi. Non ho avuto parole, non ho avuto coraggio, non ho capito niente finché la seconda palla è caduta tra i ragazzini. Ed eccolo, l’altro, il “buono”, che prende la palla, alza lo sguardo verso gli spalti superiori e lancia la palla che sparisce tra gli ultràs e giù applausi. Ho ingoiato il fiele che era diventato la mia saliva e ho cominciato a capire. Adesso, forse, è tutto più chiaro. E’ pur vero che guardo sempre con occhi da insegnante, ma volevo gridare la vergogna e la rabbia. Insigne m’ha tolto il fiato, troppo rumore, non mi avrebbero sentito.
Raffaele Trito