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Caro De Laurentiis, meno Celentano e più investimenti

Ecco, insomma, lo ammetto: mentre tutti esultano per il filotto del Napoli (e io in primis, napoletano all’estero, chiedere ai miei colleghi a La Stampa), sarebbe forse il caso di dire sommessamente qualcosa su… De Laurentiis. Il presidente del Napoli, anzi, il Presidente e basta, esempio della sindrome italiana più dilagante e inestirpabile: la celentanite.

Sì, la celentanite da Adriano Celentano. Trattasi di propensione istrionica, populista e demagogica alla boutade, talora alla vera e propria sparata, alla caccia nel mucchio, all’invettiva senza chiaro bersaglio, in ogni caso all’uscita rumorosa e originale, meglio se televisiva, dalla quale si sperano di ricavare (e spesso si ricavano) paginate di pubblicità gratis su giornali che hanno abdicato a ogni funzione critica, sorrisini ammiccanti delle intervistatrici televisive, magari qualche sporadica critica (nel caso di De Laurentiis troppo poche), ma anche torme di ammiratori di bocca buona che in fondo pensano: ecco uno che dice la verità. Finalmente qualcuno che ha il coraggio di parlare chiaro. Vedete? Gliele ha cantate. In fondo ha rialzato il Napoli. Eravamo nelle melma. Épater le bourgeois.

Già li sento, commenti così nelle piazze, nelle chiacchierate, nei social media, forse anche nei salotti borghesi del mio adorato Vomero. Sarà arrogante, sarà forse sopra le righe, sarà anche un po’ tamarro – «senza di me non avete vinto un c…», «vi ho preso che eravate in C e ora sognate i quarti di Champions», oppure «Buffon ha fatto bene, uno deve essere libero di dire come la pensa, in un mondo dove ci sono troppe ipocrisie» – ma in fondo il Presidente dice le verità scomode. O almeno, lo fa credere. Fosse così, però, lo ameremmo senza ritegno; ma attenzione.

Andando a parlare a una trasmissione alla radio, il Presidente ha detto come sempre tante cose opinabili – tra l’altro, che i calciatori vengono a Napoli magari da «posti malfamati del Sudamerica», si inebriano e «vanno in giro a fare gli smargiassi con Rolex, macchinoni e belle gnocche, e poi vuoi pure non essere rapinato?»; frase doppiamente malpensata, col Sudamerica caricaturizzato, ma anche per quell’autorizzare l’idea che se porti il Rolex non puoi che esser rapinato. Eppure in quella intervista ha anche incredibilmente rivelato agli ascoltatori una verità vera, per una volta: il Napoli ha i bilanci floridissimi, e non ha affatto bisogno di vendere Cavani Lavezzi o Hamsik.

Già, bilanci in attivo, gorgoglianti di milioni. Un merito, ci mancherebbe, della società, che incassa più di quanto spende; del sagace sfruttamento dei diritti d’immagine dei campioni. Della crescita «vertiginosa» di cui parla sempre Mazzarri (ma cambiare aggettivo, please, ogni tanto?). Di tutto quello che volete. In più, un meraviglioso volano di pubblicità gratis, di esposizione mediatica, se volete, anche di potere nudo e crudo, quello con la P maiuscola: amicizie, relazioni, possibilità di dialogare con la politica. Tutti dati floridi, insomma, che stridono e fanno a cazzotti con gli ultimi flop vanziniani del cinema, e un’immagine un po’ logora di sfornatore di cinepanettoni.

Così è, anche se non vi pare. Il Presidente non fa nessun regalo a nessuno a stare a Napoli. E’ seduto su una gallina dalle uova d’oro, e la spreme bene, più che può, com’è del tutto legittimo, visto quello che ha fatto, ci mancherebbe, ma allora è anche legittimo chiedergli: perché non concedersi qualche celentanata in meno in tv e qualche investimento in più per il Napoli quest’estate?

Io ne suggerirei timidamente un paio, uno realizzabile, un altro temo di no: con cinquanta milioni si possono comprare due difensori veri (qualcuno degno di un Thiago Silva, per capirci) e un grande centrocampista, di cui abbiamo disperato bisogno. Se poi il nostro amato celentano napoletano volesse farci il più grande regalo, potrebbe, assieme a De Magistris (che, dice, dovrebbe guadagnare un milione l’anno, «è un manager con sedicimila dipendenti») – concorrere a costruire davvero le premesse materiali, cordate, soldi, fondi, investimenti in proprio, per un nuovo stadio. Come hanno fatto gli Agnelli con la Juve, 120 milioni investiti in un anno direttamente da Exor. Di-ret-ta-men-te. Punto e stop. Bellissimo, come sogna Massimiliano Gallo (lo so, è un sogno), sarebbe farlo nella Bagnoli di Ermanno Rea.

Allora sì che saremmo pronti a passare, a proposito del nostro amato celentano napoletano, dalla sottomissione a una vera, felice dismissione.
Jacopo Iacoboni

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