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Mazzarri sarà un piangina, ma è in ottima compagnia (da Conte in giù)

Mazzarri è un piangina, come si dice in alta Italia, mentre De Laurentiis si merita di essere chiamato De Piangentiis. Insomma Walter e Aurelio sono petulanti, noiosi e ingiustificati chiagnazzari. E’ la nomea di cui godono i due uomini più rappresentativi della Ssc Napoli in giro per lo Stivale. E ora, come se non bastasse, dopo la rissa all’arma bianca di domenica, Totò Aronica è diventato un provocatore.

Ok, fermi un attimo, ognuno di noi sa quanto ognuna di queste voci possa essere fondata. Ma qui si sta passando il segno, è in corso un cortocircuito mediatico alimentato anche dalle nostre legittime perplessità sui personaggi appena citati.

Insomma, e i milanisti che da 48 ore parlano e parlano di tutto il possibile, ma meno del fattaccio, dell’ingiustificato schiaffo di Ibra? Loro come andrebbero definiti? E Tare che si lamenta che Genoa-Lazio andava rinviata per il freddo? E Marotta che chiede arbitri adeguati per la sua Juve? E Conte e Marchisio che reclamano il rigore mancato? Questo solo per fermarci all’ultima giornata di campionato.

Per non parlare poi degli interisti: a 4 mesi di distanza dal sonoro 3 a 0 del San Siro, più della partita scialba e dell’inesistente reazione dei loro giocatori, preferiscono parlare del fallo di Obi compiuto sul limite, e non all’interno, dell’area di rigore. Già, perché il piangina è Mazzarri, mai Ranieri che su quell’episodio ha costruito giorni e giorni di rivendicazioni.

Allora, mettiamoci d’accordo. Il calcio professionistico è composto sostanzialmente da bambinoni mai cresciuti, da Peter Pan che, diventati anagraficamente incapaci di stare in campo, passano a dirigere le squadre dalla panchina, da milionari che si pagano con un club la visibilità che altrimenti non avrebbero. Il tutto in una cornice di pubblico pronta a portare nel calcio la parte non proprio più razionale del proprio carattere. Arroganza, infantilismi, banalità che diventano questioni di stato sono all’ordine del giorno.

Però non può essere il Napoli il simbolo del calcio italiano. Probabilmente è una questione massmediologica, pesano l’influenza delle strisciate sulle testate nazionali o la mancanza di uno zoccolo duro di napoletani nel gotha del giornalismo sportivo italiano. O forse mi sbaglio. Ma il succo non cambia. Le responsabilità sono di tutti. Che Napoli non diventi anche nel calcio uno stereotipo.

Roberto Procaccini

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