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Aspettando il Chelsea, ricordo la “prima” europea ai tempi di Jeppson

Biglietti, rivendite, botteghini, bagarini, prezzi alti. Il percorso verso Napoli-Chelsea è costellato di buone intenzioni come di richieste un po’ arcigne. “È il calcio moderno, bellezza”, direbbe un redivivo e cinico Bogart partenopeo. E comunque la partita è lì, sullo sfondo di pensieri e speranze del popolo tifoso. In questa atmosfera intessuta di slanci e cautele può accadere facilmente, per stemperare l’attesa e i rovelli, di rifugiarsi in certi flash della memoria che hanno anche il fascino della indeterminatezza. Così come è indeterminato, ma ricco di suggestioni, il ricordo della prima partita giocata dal Napoli contro una squadra estera, all’epoca del ritorno alla normalità, nel post-dopoguerra. E più le immagini sono sfocate, più il ricordo è lieve e carezzevole. Un giorno di fine estate, anni ’50. Gli azzurri allenati da Monzeglio si apprestavano a un campionato che suscitava entusiasmi e ottimismi. Lauro già meditava la sua idea di efficace quanto illusoria propaganda: un grande Napoli per una grande Napoli. E venne dalla Svezia, via Bergamo-Atalanta, il centravanti dei sogni di vittoria: Hans Jeppson,105 milioni di spesa. Intorno a lui, una squadra costruita con dignitosa sagacia e affidata a calciatori di buona caratura, dal portierone Casari alla difesa con Delfrati, Comaschi, Gramaglia e Viney, al centrocampo con Castelli, Granata, Formentin e Amadei, fino all’attacco con Giancarlo Vitali e Pesaola al fianco di Geppsòn. Per il precampionato venne giù una squadra dall’Austria: il Semmering di Vienna, maglie rosse, pantaloncini bianchi. Semmering. Mai sentito dalle nostre parti ma il fascino esotico c’era tutto. Il ricordo inquadra la partita nella visuale consentita dal balcone di un palazzo vomerese, alle spalle della curva A. E dunque è un ricordo sfocato. Il risultato? Ci era indifferente, eravamo un grumo di ragazzi pigiati su quel balcone per vedere Jeppson da lontano. E lo vedemmo muoversi con stile compassato, duellare col centromediano, svariare sulla destra. I folti capelli biondi al vento, il tocco vellutato, il fisico atletico, i movimenti armoniosi. Come finì la partita? Nessuna risposta dalla memoria, era una amichevole, volevamo solo vedere il campione che avrebbe dovuto portarci allo scudetto. Un traguardo che, come si sa, non fu mai sfiorato in quel tempo in cui l’orizzonte internazionale degli azzurri si fermava alle amichevoli precampionato. Sulla via del ritorno, nelle affollatissime vetture delle funicolari, la lieve delusione per un incontro mediocre si sposava con le previsioni stuzzicanti sulle potenzialità di quel Napoli. Sarebbero trascorsi trent’anni per il primo scudetto. E altri ancora per sfidare il Chelsea. “Resteremo sempre qua / finché il Napoli vincerà…”: cantavano così gli ultràs di una volta. Mimmo Liguoro
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