Vado al sodo: dire che Napoli è una città di merda, a fronte di un piccolo sopruso che si rinnova nei secoli, lo considero un gesto coraggioso, culturalmente nobile, socialmente rivoluzionario. Lo è se a pronunciarlo non è la fidanzata di Lavezzi ma una donna napoletana che non s’è arresa al ricatto, che ha reagito alla prepotenza col ragionamento, che ha dato del topo di fogna a uno dei tanti guappetti di merda che ci infestano la vita.Ridurre il tutto a offesa impropria e irricevibile alla città, derubricare l’articolo a sfogo di cittadina innamorata ma delusa, richiamare vecchie argomentazioni antropologiche sulla radice culturale del crimine (che sconfinano inevitabilmente nel più insidioso giustificazionismo ) significa piegarsi alla logica dell’assuefazione. Quella che ci spinge, da sempre, a ritenerci ormai refrattari a ogni forma di ribellione civile in nome di una capacità soprannaturale di sopportazione di noi stessi e del contesto, selvaggio e spietato, nel quale siamo cresciuti. Mi chiedo: la violenza che Napoli esprime in ogni sua manifestazione sociale ci ha anestetizzati fino al punto da convincerci che il semplice fatto di parlarne costituisca un atto di indisciplina, di masochismo, di ingratitudine verso la città?
Prima di leggere l’articolo di Ilaria sul Napolista, avevo letto anche la rubrica che lei tiene sul più importante quotidiano napoletano. Ebbene, in quella sede lei ha ritenuto di fare solo un rapido passaggio sull’episodio del parcheggiatore abusivo, che sul Napolista ha invece elevato a rango di meravigliosa provocazione. Perché?, mi sono chiesto. La risposta me l’ha fornita il professor Trombetti, qualche ora dopo: la sopraffazione quotidiana, infida, minimal, quasi ombelicale rispetto ai problemi della città e del mondo, ci rende terribilmente soli. Nel caso di Ilaria, denunciarla in un contesto festoso come le cronache calcistiche di una vittoria, le deve essere apparso “disturbante” agli occhi degli altri, di chi si immerge in pagine sportive che non a caso nei giornali sono tenute sempre a debita distanza dalle brutture della cronaca e della politica. Fateci caso, solo quando ci scappa il morto o il ferito, le cronache dallo stadio scalano posizioni nelle gerarchie dell’impaginazione e si guadagnano il primo piano, pur essendo le più lette del giornale! Ilaria, però, considera il Napolista una sorta di confessionale aperto a chi la segue e la conosce, a cui non deve spiegare l’amore per la città e per la squadra, perché lo esprime tutti i giorni scrivendo. Lì s’è concessa il racconto guastafeste, che sinceramente a me dà fastidio relegare al rango di provocazione:la chiamerei denuncia. Perché lo stadio è uno spaccato del clima di paura che si respira in città, come il Napolista ha raccontato tante volte, nell’indifferenza, spesso, di altri media, dalla vergogna della vendita ai botteghini, all’incuria nella quale versa l’impianto. E a tanti di noi, che non ci consideriamo assuefatti al substrato criminale che domina la maggioranza silenziosa, non resta che gridare “città di merda” per sollevare il velo su pratiche vergognose, come il pizzo sul parcheggio, che in altre città, statisticamente, professore, neanche sono rilevabili. Certo, l’omicidio è peggio, certo, esiste anche una città migliore, certo, siamo l’eccellenza nella ricerca, certo, perfino noi che non siamo grandi cervelli e lavoriamo altrove ci facciamo apprezzare per educazione e competenza. Ma tutto ciò non deve indurci alla normalizzazione dell’inciviltà, perché tanto serve altro, perché non basta la repressione, perché serve un’operazione culturale, alle radici, e via dicendo. Roba che sento da quando sono nato. E da quando sono nato attendo di vedere un poliziotto che arresta un parcheggiatore in flagranza di reato. Una cosina semplice, così, giusto per iniziare. Del resto, adesso abbiamo anche un sindaco sceriffo: è un delitto chiedere che inizi a mettere un po’ le mani nella merda?
Luca Maurelli
Ilaria non ha provocato, ha denunciato. Irricevibile non è il titolo (Napoli città di merda), bensì la logica dell’assuefazione
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