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Ma su Pontelandolfo non viene detta tutta la verità

I giornali hanno dato notizia che il 14 agosto lo Stato chiede ufficialmente perdono a Pontelandolfo. Il paese, in provincia di Benevento, che il 14 agosto 1861 fu messo a ferro e fuoco dall’esercito piemontese nel più efferato massacro del Risorgimento.

Il Corriere della sera nel dare ampio risalto all’evento con il suo GianAntonio Stella informa che alla cerimonia sarà presente il più alto rappresentante delle celebrazioni per i 150 anni della Unità, Giuliano Amato e con lui il sindaco di Vicenza, in rappresentanza della città di Pier Eleonoro Negri,il colonnello che comandò l’efferato eccidio.

A prima vista però i conti non tornano. Stella continua a definire semplicisticamente briganti gli autori dell’agguato mortale dei bersaglieri che precedette la rappresaglia, contribuendo alla disinformazione di un fenomeno storico che una critica non imbevuta da aprioristiche interpretazioni delle ragioni del bene ha collocato tra le insorgenze italiane e che lo stesso Gramsci già nel 1920, in riferimento alle ribellioni meridionali, aveva definito i protagonisti di quelle rivolte “contadini poveri, che gli scrittori salariati tentarono di infamare col nome di briganti”.

La presenza del sindaco di Vicenza, a mani vuote, appare addirittura provocatoria alla luce della richiesta disattesa avanzata nel 2010 dal Sindaco di Pontelandolfo al suo omologo vicentino di rimuovere quella lapide commemorativa del suo illustre cittadino Pier Eleonoro Negri, medaglia d’oro del risorgimento, secondo la storia scritta dai vincitori ma solo un bieco criminale nella cultura sedimentata dei vinti.

L’assenza del Capo dello Stato infine, unico legittimato a rappresentare l’Unità nazionale, toglie all’evento qualsiasi significato storico di autentico atto di pacificazione nazionale, conferendo alla cerimonia la caratura di una festa paesana e il sigillo di una occasione mancata.
Antonio Patierno

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