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La lezione di moralità
a quelli di Diego

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<div>Pare che sabato scorso, in occasione della partita tra Argentina e Nigeria, nella sede della Fondazione Sudd si sia riunito il gruppo di distinti «intellettuali, pensatori e professionisti» napoletani ( il Riformista del 13 giugno) che negli anni Novanta, costituendo il Comitato «Te Diegum», si consacrarono al culto di Diego Armando Maradona. Un amore travolgente, sfrenato e cieco, condiviso da gran parte della città. Una passione bruciante che come tutti i grandi moti dell’animo impone rispetto e merita, a venti anni dalla sua esplosione, un po’ di attenzione.</div>
<div>Che Diego Armando Maradona sia stato un grande campione è indiscutibile. Il più grande di tutti i tempi per il 53,6% degli appassionati secondo un sondaggio organizzato dalla Fifa nel 2000. Il quinto miglior giocatore del XX secolo (dopo Pelé, Cruiff, Beckembauer e Di Stefano) se si deve credere al voto espresso, su richiesta della International Federation of Football History & Statistics (sempre nel 2000), da un gruppo di ex calciatori e giornalisti qualificati. Che sia anche un allenatore capace, è, invece, una questione aperta. Nelle partite giocate per l’accesso alla fase finale dei mondiali, la squadra argentina ha rischiato di essere esclusa. Nella partita contro la Nigeria la difesa non ha dato prova di grande solidità e il centro campo non ha impressionato per la sua capacità di filtrare il gioco degli avversari e di costruire il proprio. Alcune delle scelte compiute dal selezionatore sono apparse infelici, alcune esclusioni anche. Quindi, si vedrà.</div>
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<div>Che oltre ad essere grande campione Diego Armando Maradona sia anche un uomo piccolo, piccolo è un’ipotesi ragionevole. Per due ragioni. La prima è che in campo non è mai stato un atleta dal comportamento irreprensibile. Per due volte ( nel 1991 quando era in forza al Napoli e ai campionati mondiali di calcio del 1994) è stato sospeso per uso di sostanze vietate dal codice sportivo. Peggio ancora, invece di tacere dignitosamente si è lamentato, non ha fatto che lamentarsi. Parlava di complotti e se la prendeva non solo con i vertici del calcio mondiale ma con il mondo intero. In realtà, come ha ammesso nella sua autobiografia pubblicata nel 2000 ( Yo Soy El Diego), aveva cominciato a fare uso di cocaina fin dal 1983, quando militava nel Barcellona. A Napoli era diventato un tossicodipendente a tutti gli effetti. Un dramma personale toccante, e un comportamento infantile, penoso. Era affetto da vittimismo acuto. Ai campionati mondiali del 1990, dopo la finale persa dall’Argentina contro la Germania accusò gli arbitri e i vertici della Fifa di avere privato del titolo la sua squadra.</div>
<div>La seconda ragione è che fuori dal campo Maradona non è mai stato un esempio luminoso di civismo e, neppure, di correttezza personale. In Italia è stato un formidabile evasore fiscale: al fisco del nostro Paese deve oltre 34 milioni di euro che presumibilmente non pagherà mai.</div>
<div>Nei confronti dei figli avuti fuori del matrimonio (almeno due) non ha dimostrato alcun senso di responsabilità: si è rifiutato di riconoscerli fino a quando ciò non gli è stato imposto dal giudice. È stato latitante nel pagamento degli emolumenti decisi dal tribunale per il loro mantenimento. Del figlio napoletano, nell’ottobre del 2005, ha parlato alla televisione argentina (nel corso del suo programma La noche del 10) con freddezza e distacco discutibili. Della sua vita notturna nella nostra città e delle amicizie pericolose, coltivate con sovrana incoscienza, non vale la pena parlare. Sono cose note.</div>
<div>Dopo il suo ritiro dal calcio nel 1997 Maradona è stato ricoverato più volte per eccesso di droga e di alcol. Arroganza, violenza e disprezzo per la legalità sono una costante di questa sua seconda vita. Almeno tre i casi documentati. Nel febbraio del 2004 sparò con un fucile ad aria compressa sui giornalisti che volevano intervistarlo (due anni con la condizionale e risarcimento dei danni ad alcuni di loro). Nel 2006, «mentre si trovava in vacanza in Polinesia fu accusato di avere rotto un bicchiere in testa ad una donna, colpevole di avere avuto un alterco con la figlia Giannina» (questione risolta «con un accordo fra le parti»). Nel febbraio del 2006 «fu accusato di lesioni lievi ai danni di una coppia ferita dai vetri di una cabina telefonica alla quale era andato addosso con la sua jeep». Si è sempre rifiutato di comparire in tribunale per difendersi dall’accusa. Infine, un episodio da prendere, però, con il beneficio dell’inventario. Nel luglio del 2007 «il narcotrafficante colombiano Hernando Gomez Bustamante… poco prima di essere estradato negli Stati Uniti» dichiarò che mentre era agli arresti a Cuba gli aveva consegnato 50.000 dollari «affinché influisse sul governo dell’Avana in modo da evitare l’estradizione» («Diego Armando Maradona», Wikipedia, 14 giugno 2010).</div>
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<div>Tutti argomenti, questi, che sui sacerdoti di «Te Diegum» non fanno presa. Per quale ragione non è chiaro. Forse sono affascinati dal fatto che invecchiando il «Pibe de Oro», dopo essere stato un grande amico del presidente argentino Menem (destra liberale estrema, agli arresti domiciliari nel 2001 per traffico d’armi) è diventato uno degli esponenti della sinistra no global, al punto da partecipare nel novembre del 2005 al Vertice dei Popoli. Si è fatto tatuare sul bicipite destro il profilo del Che Ghevara e sulla coscia sinistra quello di Fidel Castro. Adora il presidente venezuelano Chavez. Nel 2007 ha donato la sua leggendaria maglia numero 10 al presidente iraniano Ahmadinejad. Rilascia dichiarazioni incendiarie. A Emir Kusturica, autore di un filmdocumentario molto compiacente nei suoi confronti, ha confessato che gli americani fanno schifo e che Fidel è «il numero uno».</div>
<div>Tutto questo sollecita una domanda. Poiché i fondatori di «Te Diegum» non sono degli sprovveduti e poiché la passione popolare per Maradona non riguarda solo alcune migliaia di tifosi scatenati che celebrano il vecchio campione in memoria del glorioso passato offerto alla loro squadra ma un’intera città, come è possibile che un amore così grande sia stato riversato su un personaggio così controverso? La risposta è semplice. Napoli adora il suo grande campione ed è disposta a perdonarne vizi ed eccessi perché è identica a lui; perché il suo disprezzo per le regole sportive e civili coincide perfettamente con la vocazione all’eversione che alligna nei recessi — neppure tanto profondi — della propria anima. È questa naturale vocazione alla trasgressione che li accomuna e che è alla base della precarietà di entrambi. È il continuo vagare ai limiti della realtà, tra il rifiuto dell’ordine (un ordine qualsiasi) e l’elusione sistematica dei problemi che l’assillano che fa di Napoli una città dal futuro incerto. Come incerto è il futuro di Diego Armando Maradona come selezionatore della nazionale argentina se i gol di Messi e di Milito — due campioni così diversi da lui— non gli consentiranno di tornare in patria da trionfatore.</div>
<div><strong>Massimo Galluppi</strong></div>
<div><em>dal Corriere del Mezzogiorno</em></div>
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