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Quando Gerardo Marotta arrivò in pigiama al Mattino la notte del terremoto

«Fate che non abbia ragione Tremonti». La sua battaglia contro i burocrati per i 300mila libri della biblioteca. «Solo Ciampi ci ha aiutati».

Quando Gerardo Marotta arrivò in pigiama al Mattino la notte del terremoto
Gerardo Marotta

Per tutti, l’avvocato

L’ultimo giacobino si è arreso. Gerardo Marotta – per tutti l’avvocato quasi a voler fissare, nell’aspetto malandato e nella trascuratezza dell’abbigliamento un’altra differenza tra la Torino di Gianni Agnelli e la Napoli del fondatore dell’Istituto italiano per gli studi filosofici – è morto ieri sera e con lui si è spenta la luce, sempre più fioca, che guidava gli studiosi di tutto il mondo verso la scuola da lui fondata quaranta anni fa per un pellegrinaggio che ora rischia di diventare privo di interesse culturale.

Marotta, infatti, ha sempre legato la sua esistenza alla sopravvivenza della biblioteca (trecentomila volumi, molti di valore inestimabili perché unici) che era riuscito in qualche modo a “proteggere” ottenendo una dichiarazione ufficiale ma inutile di bene culturale di inestimabile valore. Biblioteca che però, ormai, era stata smembrata in più pezzi e “dispersa” tra Casoria e altri sedi non degne, tutte, di ospitare quel patrimonio attaccato dal tempo e dall’usura che Napoli avrebbe dovuto difendere meglio. Per onorare la sua identità ridotta a brandelli come la biblioteca.

L’avversione per i burocrati

Oltre il male che lo affliggeva, l’avvocato si è spento perché il fisico, ormai, non reggeva più all’ingiustizia subita: «Se muore la biblioteca, muoio anche io», gli abbiamo sentito dire sempre più spesso negli ultimi tempi. Riceveva gli amici (pochi) avvolto, anche d’estate, nella sciarpa e nel cappotto con il quale lo vedemmo arrivare al “Mattino” nella notte del terremoto. Sotto il vestito aveva il pigiama di flanella. Con il direttore Ciuni si stava organizzando il giornale mentre gli inviati partivano per l’Alta Irpinia. Erano momenti di lavoro febbrile, l’adrenalina scorreva a fiumi, ma l’avvocato volle sapere tutto. E nessuno si tirò indietro.

Sono trascorsi trentasette anni, ma ancora ieri sera, pensando a Gerardo Marotta sul letto di morte, l’immagine che ritorna in mente resta “quella” che più di qualsiasi altra fissa il carattere dell’uomo che ha sempre combattuto disarmato le battaglie in difesa della cultura e della grande tradizione filosofica di Napoli e del Mezzogiorno. E le ha quasi tutte vinte fino a che le speranze non si sono impantanate in un mare di promesse non mantenute e di impegni non rispettati. I fondi stanziati dall’Europa e mai sdoganati in dieci anni sono stati la sua ossessione. «Se arrivano, la biblioteca è salva», ma aveva deposto le armi. Il vuoto scavatogli intorno era diventato una voragine che rischiava di risucchiare l’Istituto, l’ultimo baluardo.

«Solo Ciampi ci ha aiutati»

Ce l’aveva con i politici e i grandi burocrati. «Solo il presidente Azeglio Ciampi mi ha aiutato veramente, tutti gli altri hanno voltato le spalle e hanno scelto di negare i soldi alla filosofia e alla battaglia per la democrazia che noi da soli combattiamo finanziando feste e festicciole». La barbarie, diceva con voce sempre più flebile, vince così. Alla fine, esausto e ha pensato che, forse, anticipando l’uscita di scena potesse offrire un’altra chance alla sistemazione della sua “creatura”.

Ed è questo l’ultimo disperato appello che, ne siamo certi, ha inteso lanciare a Napoli e al mondo: in calce, accanto alla sua, ci sono le firme di altri due illustri pensatori ai quali si è sempre ispirato, Benedetto Croce e il filosofo tedesco Hans Georg Gadamer che una mattina di mezzo secolo fa, parlando amabilmente con il cronista, disse: «grazie a Gerardo sono diventato un poco napoletano». E Marotta, che assisteva al colloquio, replicò: «E io grazie a lui sono diventato più europeo» riferendosi, evidentemente, alle porte spalancate per lui dei più illustri santuari della cultura, da Parigi a Heidelberg e Londra.

Cosa fare per onorare la sua memoria

Cosa resta della lezione di Gerardo Marotta? Osiamo dire: ancora tutto, a patto, però, che la città onori i patti che ancora ieri, pochi minuti dopo l’annuncio della morte nella clinica di Capodimonte dove era ricoverato da Natale in seguito ad una caduta in casa, ha ribadito. Le parole commosse del sindaco de Magistris e del delegato alla cultura della giunta regionale, Maffettone, non dovrebbero lasciano margini di dubbio: la biblioteca e quindi la vita dell’Istituto, che ha preparato migliaia di giovani napoletani e meridionali, può essere salvata. Bisogna davvero volerlo, però.

La soluzione prospettata dalla Regione appare come la più percorribile: una sinergia con la Biblioteca nazionale scorporando il patrimonio librario dalla questione amministrativa che incombe sull’Istituto. Vorremmo tanto che così fosse anche per onorare l’ultimo desiderio dell’avvocato: «Fate che non abbia ragione Tremonti». Si riferiva ad una espressione dell’ex ministro («con la cultura non si mangia») alla quale lui replicò richiudendo il portone di Palazzo Serra di Cassano dal quale il conte Gennaro Serra uscì per offrirsi ai carnefici che lo decapitarono insieme agli altri martiri della Rivoluzione Napoletana del 1799. Quel portone lo aveva aperto nel 1994 perché era diventata più concreta la speranza di una rinascita della città. Si era sbagliato ancora una volta.

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