ilNapolista

L’Inter e il bluff del Fair Play finanziario

Uefa e Figc permettono ai nerazzurri di acquistare senza limitazioni: c’è tempo fino a giugno 2017, in Europa, per evitare ulteriori sanzioni. Nel frattempo, lista Europa League tagliata. E si parla di cessioni in Cina, alla squadra di proprietà del gruppo Suning.

L’Inter e il bluff del Fair Play finanziario

L’Inter che acquista Joao Mario e Gabigol, che non cede calciatori per risanare il bilancio e che, per punizione, non può schierare i nuovi grandi acquisti. Ma solo in Europa League, però. Sì, perché la lista per il campionato contiene anche i calciatori che la Uefa ha bloccato, almeno per la propria giurisdizione: si tratta di Kondogbia, Jovetic, Gabigol e Joao Mario. Un assurdo regolamentare, che vogliamo prima di tutto spiegare. E poi vogliamo criticare, anche per difendere tutti i club (Napoli per primo) che fanno i salti mortali per far quadrare i conti.

Detto questo, spieghiamo la storia velocemente: l’Inter ha dei problemi di bilancio abbastanza gravi, che costano un richiamo ufficiale dall’Uefa. Il 3 agosto, il Napolista commenta un pezzo della Gazzetta e scrive: «Il piano di rientro concordato con l’Uefa prevede entrate per 50 milioni, da effettuare però entro giugno 2017. Le ultime cessioni (Juan Jesus, Laxalt e Biraghi) hanno già portato nelle casse dell’Inter 20 milioni. Inoltre, il fatturato dell’Inter sfiora i 200 milioni, e secondo i parametri il monte ingaggi non deve superare i 100 milioni (il 50% degli introiti). C’è ancora spazio, quindi, per mettere a segno questi due colpi e sostenerli con i conti non proprio in ordine lasciati da Thohir alla nuova proprietà». Quindi, doppio affare possibile. Solo che, il primo richiamo ufficiale dei santoni del Fpf al club nerazzurro era stato approcciato in un altro modo: un gentleman agreement tra il club nerazzurro e l’Uefa aveva stabilito che i conti sarebbero stati esaminati, come leggiamo sopra, a giugno 2017. Nel frattempo, però, o sistemate un po’ bilancio oppure noi taglieremo la vostra lista Uefa al momento della prossima qualificazione. L’Inter non ha assolutamente sistemato il bilancio, anzi l’ha appesantito con gli arrivi di due calciatori molto costosi (67 milioni per il centrocampista portoghese e l’attaccante brasiliano), e la Uefa ha effettivamente tagliato la lista dell’Europa League: 22 calciatori e l’obbligo di rispettare il paletto tra entrate e uscite al mercato. Cosa significa? Che i nerazzurri hanno dovuto inerire, all’interno di questa lista, solo i calciatori il cui prezzo d’acquisto sommato è uguale a quello delle cessioni effettuate nello stesso arco di tempo. Ovvero, e appunto, Kondogbia (31 milioni al Monaco), Jovetic (3 milioni per il prestito biennale), Gabigol e Joao Mario. Lo abbiamo spiegato bene qui.

Il meccanismo è complesso, ma anche inspiegabile. Se l’Inter, per l’Uefa, non è una società tanto virtuosa da poter avere la lista completa per una competizione, per quale motivo diventa virtuosa in un’altra? Più che un problema di concessioni per una politica di mercato tanto free, senza vincoli (ci torneremo dopo), si tratta di un conflitto giurisdizionale: nessuna multa, solo la minaccia di ulteriori punizioni di qui a un anno, ma intanto la libertà di mettere a punto un exit strategy e di schierare acquisti multimilionari in campionato. Che poi, è la competizione che qualifica alle coppe europee. Geniale, no?

A questo punto, dovrebbe quindi entrare in scena la federazione d’appartenenza: la Figc si è mossa, varando a partire dal 2018  “Manuale applicativo del pareggio di bilancio”, un documento che fissa quali sono i ricavi e i costi rilevanti per la Covisoc nel giudizio sull’iscrizione di una società di calcio al campionato di Serie A. Il Napolista ne ha scritto qui, ma dal giorno della pubblicazione di quelle notizie non ci sono stati ulteriori aggiornamenti. Secondo i regolamenti approvati dalla Federcalcio, comunque, l’Inter (ugualmente a tutte le altre squadre di Serie A) non potrà superare un certo deficit rilevante. Per deficit rilevante, si intende la differenza tra costi rilevanti e ricavi rilevanti: per ricavi rilevanti si intendono quelli derivanti dal botteghino, dai diritti televisivi, da sponsorizzazioni e da attività commerciali e royalties, più le le plusvalenze da gestione dei calciatori e i proventi finanziari. I costi rilevanti, di converso, sono quelli dell’attività sportiva e quelli amministrativi, ingaggi e oneri sociali, ammortamenti, minusvalenze da gestione dei calciatori, interessi ed oneri finanziari. La soglia è fissata al 25% della media del fatturato dei tre esercizi immediatamente precedenti: se il deficit dovesse superare questa quota, la differenza sarà interamente a carico delle società, che dovranno provvedere con mezzi propri mediante aumento di capitale interamente sottoscritto e versato, versamenti in conto futuro aumento di capitale e finanziamenti postergati ed infruttiferi dei soci. Nel caso il rosso sia superiore al 50% della media del fatturato triennale, la Covisoc potrà disporre il divieto di tesseramento di nuovi calciatori per due sessioni di mercato.

Quindi, per il momento, l’Inter ha la strada spianata. In Italia, può fare quello che vuole a patto che, dal 2018, rispetti questi parametri. Nel frattempo, può tranquillamente agire sul mercato con gli ingenti capitali della Suning, tanto comunque può sempre rimediare. Come? Attraverso l’aumento dei ricavi, che può passare dalla cessione di alcuni calciatori fino all’aumento degli introiti generati dal campo (magari con le prestazioni in Europa League). La possibilità di poter “tenere”, in qualche modo, fino a gennaio, ha spinto l’Inter a confermare in blocco la sua rosa (sono partiti solo calciatori minori, a prezzi contenuti: saldo di mercato di -100 milioni, solo Biraghi e Laxalt sono stati pagati in contanti, 4 milioni, da Pescara e Genoa) e a poter scegliere con calma dove e a chi destinare i calciatori meno addentro al nuovo progetto tecnico. Suning, in questo caso, è un interlocutore interessante: Calcio&Finanza scrive di come le possibilità di vendita dei calciatori alla squadra cinese di proprietà dello stesso gruppo potrebbero essere un’idea: «L’idea di mandare via questi calciatori, soprattutto verso il Jiangsu, identifica operazioni non vietate a priori, ma sempre da ricondurre, per l’Uefa, al parametro del giusto valore». Ovvero: quel paletto per cui una nuova sponsorizzazione dei pantaloncini dell’Inter non può valere, diciamo, 100 milioni di euro. Nemmeno, anzi soprattutto, se il contratto viene stipulato con un gruppo della stessa holding di riferimento. Anche questo, però, è un mezzo bluff dell’Uefa, e sempre Calcio&Finanza spiega di come questa regola possa essere facilmente aggirata: «La percentuale del fair value per le sponsorizzazioni è nota: fino a un massimo del 30% dei ricavi complessivi. Qualsiasi cifra oltre questa soglia, infatti, verrebbe riportata dall’Uefa al di sotto di essa (e questo vale indipendentemente da chi la fa: anche un’azienda esterna non può, per il FPF, incidere oltre il 30% dei ricavi complessivi). Ipotizzando quindi che i ricavi complessivi siano circa 200 milioni, Suning potrebbe portare intorno ai 100 milioni di euro».

Le cessioni, altre operazioni di mercato spostate in Cina, la possibilità di aumentare i ricavi con sponsorizzazioni diciamo “gonfiate”. L’Inter può tranquillamente pensare di uscire indenne da questa estate di spese folli con i conti non a posto. Cose che abbiamo già visto (e sentito) con le vicende di Psg e Manchester City, ma che adesso ci toccano da molto più vicino e ci sembrano ancora più ingiuste. Non illegali, perché Uefa e Figc lo permettono e lo permetteranno. Se vogliamo, il vero problema è proprio questo.

Il Fair Play Finanziario dell’Uefa in realtà non esiste. Grandi club sono diventati virtuosi e fruttuosi, mentre altri continuano a giocare in Europa approfittando di regolamenti facilissimi da ignorare o comunque aggirare. L’Inter fa parte di questo gruppo. Altri (il Napoli, ma anche la stessa Juventus e la Roma che cede Pjanic per pareggiare il bilancio), invece, cercano semplicemente di rimanere all’interno del proprio recinto economico. E, francamente, non ci sembra giusto. Non abbiamo detto che ci pare illegale. Non lo è, e c’è una bella differenza, certo. Però l’amaro in bocca resta, eccome.

ilnapolista © riproduzione riservata