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Napoli, stadio San Paolo: quella tra De Laurentiis e de Magistris è una trattativa. E le parti non sono così inconciliabili

Napoli, stadio San Paolo: quella tra De Laurentiis e de Magistris è una trattativa. E le parti non sono così inconciliabili

Lo stadio San Paolo. Più che una questione (come la definisce il sindaco de Magistris) è ormai una vera e propria saga, un’epopea, una storia per ora infinita.

L’avvio dell’ultima puntata l’ha dato il sindaco de Magistris quando intervenendo al Processo del Lunedì (ebbene si, esiste ancora questa trasmissione, bentornati negli anni ’80) ha dichiarato che senza un investimento ben superiore ai venti milioni attualmente stimati non avrebbe mai dato il via libera al Napoli per il suo progetto, ventilando anzi di avere anche alternative sul tavolo per il futuro dello stadio.

La reazione del presidente De Laurentiis è stata conseguentemente dura perché negli ultimi mesi, pur tra alti e bassi nelle relazioni tra società sportiva e Comune, con l’avvio dell’iter e la presentazione dello studio di fattibilità sembrava di essersi avviati finalmente sulla strada di una soluzione per l’annoso problema San Paolo. La contro-minaccia del presidente è stata di realizzare uno stadio altrove se entro novembre non fosse stata firmata la convenzione ponte per la gestione dello stadio.

Riepiloghiamo la vicenda. Lo stadio San Paolo è datato 1959, ha subito una prima parziale ristrutturazione tra il 1988 e il 1990. Nei successivi 25 anni, salvo interventi di manutenzione per emergenze di vario genere, nulla è stato fatto dalle diverse amministrazioni comunali in tema di manutenzione ordinaria o straordinaria per garantire alla struttura condizioni minimali di decenza in tema di servizi, accessibilità, sicurezza e miglioramento del comfort.

Quanto servirebbe per rendere il San Paolo uno stadio moderno e funzionale? Un caso indicativo a quest’uopo è la trasformazione del vecchio Neckarstadion di Stoccarda nella Mercedes-Benz Arena. Da pianta ovale con pista da atletica ad arena per il calcio: rimodellazione delle due tribune principali e demolizione delle curve e ricostruzione di tribune a ridosso del campo per ottenere dopo 3 anni di lavoro 60 mila nuovi posti per un costo totale di circa 65 milioni di euro. Al San Paolo i costi potrebbero essere superiori di qualche decina di milioni di euro perché a differenza di Stoccarda sarebbe necessario demolire la copertura e realizzarne un’altra ex novo.

Quali condizioni servono perché dei privati investano così tanto su uno stadio pubblico? A Torino ed ad Udine, gli unici due casi in Italia finora giunti a buon fine, la chiave è stata la cessione del diritto di superficie per un tempo molto lungo (99 anni). È stata è stata ceduta la proprietà (di fatto) a fronte di un corrispettivo economico una tantum o di un canone concordato. Un tempo così lungo è indispensabile per ogni investitore privato (anche per il Napoli) al fine di ammortizzare un investimento molto oneroso che diversamente non sarebbe possibile fare.

A Napoli quali condizioni sono state poste? Premessa, possiamo fare riferimento sole alle pubbliche dichiarazioni del sindaco e degli assessori oltre che alle indiscrezioni di stampa perché finora non sono state rivelate le ipotesi sul tavolo. Sulla durata dell’accordo si è sentito spesso parlare di 30 anni e solo nell’intervista odierna de Magistris ha parlato di un termine più lungo. Relativamente alla formula, è stato ribadito più volte che la proprietà resterebbe al Comune, che vorrebbe disporre dello stadio durante alcuni momenti dell’anno o per determinate circostanze/eventi.

Che destino per il San Paolo senza il Napoli e per il Napoli senza il San Paolo? Questa è l’incognita più grande. Al di là di minacce e strepiti tra le parti, è chiaro che per il Comune e per la Ssc Napoli la soluzione migliore è che il Napoli continui a giocare al San Paolo. Se il Napoli per ipotesi traslocasse altrove fuori dal territorio comunale, lo stadio rimarrebbe sostanzialmente una scatola vuota perché il valore del San Paolo non è dato dall’edificio in sé ma dalla squadra che ci gioca e non basterebbero 3-4 concerti all’anno per garantire gli introiti necessari a coprire le spese di gestione. Il Comune allora dovrebbe pensare ad un ridimensionamento della struttura magari ad arena per eventi e concerti ma servirebbero comunque capitali privati (e il palasport comunale Mario Argento dimostra che non è così facile trovarli a Napoli) oppure si dovrebbe procedere ad una demolizione ponendo allora il problema del vuoto urbano che ne conseguirebbe a Fuorigrotta (certo, i residenti non sarebbero troppo dispiaciuti). E il Napoli? Beh, anche alla società partenopea conviene giocare al San Paolo, uno stadio dentro la città, facilmente raggiungibile e che per questo avrebbe un bel potenziale economico se potesse essere sfruttato per realizzare museo ed aree commerciali del club e degli sponsor. 

Il Napoli via dal San Paolo avrebbe viceversa più facilità nel reperire aree libere ed operare ma certamente oneri di spesa molto maggiori (tra gli 80 e i 100 milioni di euro almeno) per realizzare uno stadio nuovo da almeno 40/45 mila posti. Tutto ciò oltre all’oggettivo handicap di non giocare più a Napoli (in Serie A solo Carpi e Sassuolo giocano fuori dal loro comune).

E siamo al paradosso. Se da un lato è vero che l’investimento prospettato dal Napoli è relativamente ridotto (ma in linea con le possibilità di spesa del club senza ricorrere a prestiti), è altrettanto vero che al Comune piacerebbe continuare a tenere almeno un piede dentro lo stadio e a garantirsi la possibilità di utilizzarlo secondo necessità. Il paradosso è che si tratta di fatto di due posizioni che sono assolutamente conciliabili perché, a fronte di un investimento molto maggiore (40, 60, 80 milioni di euro) non esiste alcun investitore privato che lascerebbe al comune la possibilità di co-gestire il bene in questione (questo video mostra un tifoso del Legia che entra ad imbrattare il San Paolo indisturbato, evidenzia come la gestione pubblica sia tutt’altro che eccellente). Viceversa a fronte di un investimento di venti milioni la società sportiva non può pretendere il diritto di superficie a 99 anni o una gestione esclusiva dell’impianto.

Cosa accadrà allora? Tutto è possibile. Ad oggi si tratta né più né meno di una trattativa commerciale giunta alle sue fasi finali: si andrà verso la chiusura dell’accordo (il sindaco ha parlato di fine 2015 come termine ultimo) oppure si arriverà anche a rottura definitiva. A questo quadro si aggiunge una variabile forse decisiva, ovvero che nella prossima primavera ci saranno le elezioni comunali a Napoli e potrebbe quindi esserci tra qualche mese un altro interlocutore per la SSC Napoli con il quale tentare l’intesa in caso di fallimento della trattativa attuale. Il sindaco de Magistris dal canto suo si gioca molto in chiave elettorale perché lo stadio è un tema sul quale si è speso a lungo ed in prima persona con promesse importanti e ripetute di garantire uno stadio nuovo entro la fine del suo mandato.

La partita continua…
Andrea Iovene

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