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Una crostata per smaltire Napoli-Atalanta

Una crostata per smaltire Napoli-Atalanta

Che notte insonne! Alle due antimeridiane proprio non riesco a chiudere occhio. Il nervosismo post-partita, quell’adrenalina che non mi lascia dormire, stavolta è oltre ogni storico limite. Decido di prepararmi una crostata, con bulimico intento consolatorio, per placare i tormenti di Napoli – Atalanta. 1-1.

Cucinare mi rilassa e poi come diceva Mary Poppins: basta un poco di zucchero e la pillola va giù… E mandiamola giù ‘sta pillola!

Allora prendo farina, zucchero, un uovo e, ingradiente fondamentale, la sugna preparata da mamma’. Magnifica. Sia la sugna, sia mamma’.

Metto un po’ di musica random nello stereo e il caso vuole che parta una compilation di Lou Reed. E sia! Del resto è a tono con l’atmosfera triste della serata calcistica del San Paolo. Più che triste proprio funerea, penso, mentre incorporo farina e zucchero.

La serata è cominciata in maniera strana, un’inaspettata fila all’ingresso della curva B a ben due ore dall’inizio del match contro la maledetta amazzone nerazzurra. Già intravedevo gambe a penzoloni sulle inferriate in cima alle scale che portano all’anello superiore. Segno inequivocabile di un imprevisto pienone.

Ma la realtà è apparsa subito diversa non appena messo piede sulle gradinate. La curva A si sapeva, sarebbe stata vuota per squalifica. La B si è presentata con un vasto settore centrale deserto, e geometricamente presidiato dalle schiere Ultras, attraversato da un lunghissimo striscione ripiegato e una cornice fatta di una folla fitta e densa di “popolazione civile”.

La nostra Balconata è già invasa da centinaia di occasionali e a fatica uno sparuto numero di noi riesce a presidiare dei posti liberi per il resto dei fedelissimi. La folla aumenta numericamente minuto dopo minuto e necessariamente aumenta in densità non trovando alcuna sistemazione se non uno sopra all’altro. Nel frattempo arrivano alla spicciolata gli altri membri del nostro gruppo, chi facendosi largo a fatica tra la folla crescente e sempre più compressa, chi, più atletico in stile Olio Cuore, arrampicandosi sulle balaustre. 

Impasto l’uovo col composto di farina e zucchero. 

La partita è iniziata così, in un contesto surreale, silenzioso. Aggiungo la sugna. Tanta sugna. E impasto con vigore.

Quest’anno, intendo non solo l’anno calcistico, è nato, in effetti, sotto una cattiva stella. L’ombra dei tristi avvenimenti della finale di Coppa Italia all’Olimpico di Roma ha coperto con una cappa nera il campionato del Napoli. Sarà forse per questo, mi domando mentre impasto, che nei cori da stadio oramai le tematiche si sono così prepotentemente spostate sul concetto di morte? Ogni domenica è una continua invocazione al Vesuvio perché erutti! Ma non bastavano i cori degli altri?

Senza parlare poi del “nuovo inno del Napoli”. Sempre col dovuto rispetto parlando, per tutti noi la scomparsa di Pino Daniele ha rappresentato l’ennesimo doloroso lutto cittadino. Eppure, in molti non abbiamo trovato proprio un’idea brillante da parte della SSCN l’aver adottato la melodiosa ma così malinconica Napul’è come canzone che apre le danze prima di una – presumibilmente e augurabilmente – frizzante partita di calcio. E’ come cominciare ogni partita con una marcia funebre… Capisco la celebrazione nei giorni della commemorazione dell’artista, ma andare oltre appare quantomeno retorico e, come al solito, oleografico. Ma un bel pezzo degli AC/DC no? E poi non eravamo la città della scaramanzia?

Odio quando si azzecca l’impasto sul tavolo. 

Ad ogni modo, la partita in sé non ha dato molto entusiasmo, almeno per uscire da quell’atmosfera cupa. Anzi, al contrario la situazione già complessa per le difficoltà del Napoli di bucare la trincea bergamasca, è diventata ancor più spinosa per l’ennesima combinazione di dabbenaggine dei nostri eroi in divisa jeans (sic!) e incompetenza delle casacche gialle – una volta nere. Questa volta è toccato al difensore azzurro Henrique essere l’esecutore della ormai abituale cappellata della partita e in concomitanza l’arbitro Calvarese da Teramo non si è “accorto” che  l’atalantino Pinilla rubava palla con un doppio fallo mortale. Né lui né gli altri cinque arbitri in campo. Alla fine Pinilla ha segnato e noi su in curva – dove nel frattempo la gente si è redistribuita nello spazio vuoto – a patire. Patisce in particolar modo Francesco V. – detto Cecco; un personaggio che meriterebbe un racconto a parte. Nella fattispecie della serata Cecco è arrivato allo stadio tutto trafelato con la “bolletta” fresca fresca in tasca. Bolletta arzigogolata, una lunga sfilza di pronostici – io poi di scommesse non capisco niente – ma che alla fine avrebbe pagato una cifra attorno ai mille euro, mi ha spiegato. Bastava ancora un risultato. Non c’è bisogno che io dica quale: un risultato suggerito da una immarcescibile fede. Al gol del cileno dell’Atalanta, l’espressione vampiresca che Cecco assume per la tensione ad ogni partita, si è fatta ancora più emaciata e pallida; le occhiaie nere ancor più scavate e gli occhi sempre più rivolti a scrutarsi nel cervello come un personaggio di un film di Kubrik. Fabio S. gli ha pietosamente appoggiato una mano consolatoria sulla spalla. Ma Cecco è rimasto immobile nel suo dolore. 

Plasmo la pasta frolla in guisa di crostata, la metto nel ruoto, la ricopro di marmellata di albicocche – anche questa di mamma’ – e ripenso al coro di voci che per lunghi minuti hanno invocato l’ingresso di Zapata. Tra tutte quella di Sergio A.. 

Cito: O’ chiatto’, miett’ a Zapata, ca’ King Kong dint’ a foresta s’assett aro’ vo iss! 

Sergio dixit.

A dieci minuti dalla fine King Kong è poi entrato in campo e si è effettivamente seduto dove voleva lui nella foresta dell’area bergamasca, dopo aver colpito di testa un gran cross di Hamsik e averlo sbattuto con violenza in rete. Cecco a quel punto ha avuto un tremito di speranza, che poi si è mutata in languida resa nel recupero mai giocato da Calvarese. Addio mille euro.

Qualche gradino più dietro, Giancarlo C. – detto Catering perché è lui che trasporta fisicamente la “marenna” della Signora N. all’interno dello stadio – mi ha fatto notare con segni prosaici che forse i nostri timori sui possibili echi nefasti di questi canti alla sfiga stanno trovando clamorosi riscontri.

Mentre inforno la crostata penso a Benitez, al quale piacerebbe di sicuro la mia creazione culinaria. Gliene vorrei portare una fetta a consolazione della sua prima, assurda espulsione. Sinceramente dagli spalti non si è capito niente, tranne che era assurda. Pobre Rafa…

Che deprimente il calcio in Italia oramai. Sulle note di Perfect Day ripenso alla questione dei sei arbitri “non vedenti”. Siamo gli unici al mondo ad avere sei arbitri sul campo di calcio! A volte – maledetto calcio moderno – sono costretto a guardare la partita in streaming e perfino i telecronisti argentini – meravigliosi giocolieri della cronaca pedatoria – li ho sentiti più volte dire: Pero a que sirven seis refe si no veen nada? 

E l’altro: Es la tipica burocratia italiana!

Sic et simpliciter.

Allora vorrei dargli quella fetta di crostata e dirgli: caro Rafè, sient’ a me, vavattenn’! A te sto paese ti fa male alla salute. Solo qua ti danno del disonesto e ti mostrano il cartellino rosso in campo. Sei troppo un signore, ti intossichi e basta! E Dio solo sa se mi mancherai – anche se a volte la pensiamo diversamente e anche io vorrei un cambio fatto dieci minuti prima – Oh! Sì, che mi mancherai!

Sento puzza di bruciato. La crostata, cazzo! Dal forno esce un po’ di fumeccia. Tiro fuori la teglia e mi accorgo che ho dato alla torta la forma della curva B, ma la parte al centro con la marmellata s’è tutta carbonizzata. Resta solo una cornice tosta. La sfiga mi ha seguito fino a casa. E così senza nemmeno lo zucchero per far scendere la pillola mi metto nel letto con gli occhi sbarrati; e canticchio: “…E quando morirò, da lassù ti guarderò, quante volte ratt’ ‘a pazz’ io dirò!” 

 Fabrizio Livigni

 

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