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Per Andrea Agnelli gridare “colerosi e terremotati” non è razzismo, rientra nella cultura italiana. (Magari la sua)

Per Andrea Agnelli gridare “colerosi e terremotati” non è razzismo, rientra nella cultura italiana. (Magari la sua)

(ANSA) – ROMA, 21 NOV – “Il razzismo è da debellare, non ha senso di esistere”, ma per eliminarlo dagli stadi “bisogna essere severi”: lo ha affermato, in un incontro alla Triennale di Milano, il presidente della Juventus Andrea Agnelli. Però, ha proseguito, “mi dà fastidio che molte delle sanzioni applicate siano legate alla discriminazione territoriale che punisce a mo’ di razzismo il campanilismo, che invece fa parte della nostra cultura e non è razzismo. Vanno colpiti i buu, gli altri cori sono nostre peculiarità”.

E insomma, per Andrea Agnelli – e per tutti i presidenti di serie A, compreso De Laurentiis – colerosi, terremotati è campanilismo, così come augurare l’eruzione di Vesuvio. Si indigna anche il presidente della Juventus, gli dà fastidio questo subdolo accostamento. Capiamo che – per dirla alla Protagora – l’uomo sia misura di tutte le cose, e quindi nel mondo di Agnelli “colerosi e terremotati” fa parte della sua cultura. Almeno, non cerchi di esportare il modello. Saranno peculiarità sue e degli amichetti suoi; noi associamo alla nostra cultura altri comportamenti.

Dichiarazioni che arrivano in una giornata particolarmente intensa per il figlio di Umberto Agnelli. 

«Luciano Moggi rappresenta una parte importante della storia della Juve: noi siamo il paese del cattolicesimo e del perdono, si può anche perdonare, no?». A questo punto acquistano altro rilievo le sue dichiarazioni contro Tavecchio: “Sono rispettoso delle istituzioni e se Tavecchio mi chiama al telefono rispondo, ma preferivo una soluzione diversa e continuo a sostenerlo. La gaffe su Opti Pobà? L’Italia ha un senso etico molto basso e gli scivoloni non creano particolare sorpresa”. Meglio per Andrea Agnelli, aggiungiamo. 

 

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