Sabatini: «Spalletti vive il calcio con tormento, lo capisco. È come Leopardi, compie studi matti e disperatissimi»
A La Stampa: «il calcio implica il tormento di dover e voler fare in modo che siano felici gli altri. Nei prossimi anni Grosso sarà “l'allenatore”, non “un allenatore”»

As Roma 07/02/2020 - campionato di calcio serie A / Roma-Bologna / foto Antonello Sammarco/Image Sport nella foto: Walter Sabatini
Sabatini: «Spalletti vive il calcio con tormento, lo capisco. È come Leopardi, compie studi matti e disperatissimi»
La Stampa intervista Walter Sabatini, si parla di Luciano Spalletti allenatore della Juventus. I due hanno lavorato insieme alla Roma.
Sabatini, lei lo disse subito: “Spalletti è la persona giusta per la Juve”. Aveva ragione.
«Diciamo che era un’esigenza bilaterale, una contingenza favorevole sia per la società sia per Luciano. A Spalletti serviva una grande piazza per “perdersi” nel lavoro dopo lo schianto con la Nazionale».
Perché è così bravo?
«Perché legge e vive il calcio con genialità. Ha intuizioni di campo, nella conduzione dell’allenamento, nel fissare gli obiettivi. Si aggiorna, studia: “studi pazzi e disperatissimi”, come diceva Leopardi. Il calcio gli procura costantemente dubbi e interrogativi che ne condizionano la vita. Io sono stato bene con lui: capivo perfettamente i suoi stati d’animo tendenti a una forma di malinconia costituzionale e sapevo che lo avrebbero portato lontano».
Quindi questo intendeva, Spalletti, quando ha detto di non aver mai provato il divertimento nel calcio?
«Certo. Intendeva anche questo concetto che io non solo capisco, ma condivido. Il calcio è dolore. Gli effetti della sconfitta non passano mai, perché ti metti sempre in dubbio per qualsiasi scelta tu faccia. Vuoi che si tratti di individuazione dei calciatori, vuoi che si tratti del modo di allenarli. Ho in mente Luciano che mi guarda con gli occhi sbarrati e dice. Che sto facendo? Domande retoriche, ovviamente. Ma il punto è che per chi lo fa il calcio non è allegria: è tormento. Per i tifosi, invece, deve essere una forma di gioia, di svago».
Approfondiamo il concetto?
«Intendo dire che per quelli come me e Spalletti il calcio implica il tormento di dover e voler fare in modo che siano felici gli altri. Per noi non c’è un giorno in cui ci si sente sollevati e in pace, pensiamo che tutto possa essere fatto meglio».
Altre realtà che l’hanno colpita?
«Mi piace il lavoro che sta facendo Grosso al Sassuolo nell’ambito di un progetto che è davvero un progetto e non la classica parola abusata nel calcio. Nei prossimi anni Grosso sarà “l’allenatore”, non “un allenatore”. E sono convinto che Daniele De Rossi porterà avanti le sue idee: sono molto ambiziose, vero, ma senza ambizione è meglio non frequentarlo il calcio».











