Murray e la collaborazione con Djokovic: «Dovevo andare a sciare, ma alle 23:00 stavo già seduto a guardare i suoi match»
A The Tennis Podcast: «È difficile da gestire, è estremamente esigente. Ma guardando indietro, è stata un'esperienza veramente incredibile per me. Non me lo chiedeva, ma mi assicuravo anche che le racchette fossero in ordine»

Serbia's Novak Djokovic reacts on a point against Italy's Jannik Sinner during their men's singles semi-final match on day 13 of the Australian Open tennis tournament in Melbourne on January 26, 2024. (Photo by Martin KEEP / AFP) / -- IMAGE RESTRICTED TO EDITORIAL USE - STRICTLY NO COMMERCIAL USE --
Andy Murray è tornato a parlare della breve ma intensa parentesi da coach con Novak Djokovic in un’intervista a “The Tennis Podcast”. I due ex numeri uno al mondo hanno collaborato per meno di sei mesi, ma lo scozzese ha tanto da raccontare.
Le parole di Murray su Djokovic
Murray si è innanzitutto soffermato su cosa comporta allenare il serbo: «Djokovic è difficile da gestire. Il suo tennis è estremamente esigente. Guardando indietro, è stata un’esperienza veramente incredibile per me. Sfortunatamente, si è infortunato in Australia, ma l’ho visto giocare un tennis straordinario in quel torneo».
A Melbourne, Nole accusò un infortunio al tendine del bicipite femorale: «È stato un momento difficile per lui, ma anche per il team e per tutti noi. Era deluso. Probabilmente non abbiamo ottenuto i risultati che desiderava, ma sono contento di aver accettato il lavoro. Ho imparato molto sull’essenza dei suoi allenamenti. Quando ti immergi a fondo in queste realtà, scopri molto su te stesso: le tue forze, debolezze e i punti su cui devi lavorare».
Murray ha raccontato anche del momento in cui Djokovic gli propose di diventare suo allenatore: «Avevo un viaggio sugli sci già programmato prima di accettare il lavoro e glielo spiegai. Ma alle 23:00 stavo seduto a guardare video dei suoi match in Australia. C’era molto da fare e bisognava assicurarsi che fosse fatto tutto nel modo giusto. Che le racchette fossero in ordine, che il campo d’allenamento fosse prenotato, che il compagno di allenamento fosse disponibile e che i video da analizzare fossero pronti. Lo consideravo il mio compito. Novak non mi ha detto: ‘Per favore, occupati delle mie racchette’. Ma volevo farlo, perché così mantieni il controllo della situazione».
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Il coach deve anche badare al supporto psicologico dell’atleta assistito: «Penso che sia importante che l’allenatore porti buona energia. La squadra non dev’essere demoralizzata il giorno di una partita importante, ma neanche troppo nervosa, perché un giocatore, secondo me, non ha bisogno di carica prima delle semifinali di un Grande Slam. Bisogna portare energia e un po’ di fiducia in se stessi, in modo che il giocatore senta di essere supportato. Sono consapevole di quanto sia importante dal punto di vista psicologico. Se tornerò ad allenare, cercherò di farlo ancora meglio».
Riguardo alla vittoria contro Carlos Alcaraz nei quarti di finale dell’Australian Open: «Avevo ben chiaro come si doveva giocare contro Alcaraz. Ma c’è una differenza tra formulare una strategia e scendere in campo ed eseguirla come ha fatto Novak. Secondo me, ci sono poche persone al mondo capaci di farlo. Puoi dare al 50º giocatore del ranking mondiale la migliore strategia contro Alcaraz, ma probabilmente lo spagnolo vincerà comunque la partita. Novak è così bravo da eseguire la strategia alla perfezione, semplicemente perché ha un infinito talento».











