Per inseguire il sogno Premier League, i baby calciatori lasciano la scuola (studiano da casa)
Su circa tremila giovani tesserati delle academy, una trentina abbandona l'istruzione tradizionale. Molti sono star dei social

Liverpool's English striker #73 Rio Ngumoha controls the ball during the first of two pre season friendly football matches between Liverpool and Athletic Bilbao at Anfield in Liverpool, north west England on August 4, 2025. (Photo by Darren Staples / AFP)
Max Dowman dell’Arsenal e Rio Ngumoha del Liverpool sono i due adolescenti lanciati nella nuova stagione della Premier. Con loro sono 28 gli Under 17. È la conferma che il calcio è, più che mai, uno sport per giovani. Ma arriverà il giorno in cui un club d’élite schiererà una squadra interamente composta da teenager? La domanda se la pone il Times
Per il sogno Premier le famiglie non mandano i figli a scuola
«Una squadra è ancora un’orchestra con uno o due solisti», spiega Huw Jennings, responsabile dello sviluppo calcistico del Fulham. «È incredibilmente difficile avere un’orchestra di adolescenti che abbia anche un solista adolescente». I quindicenni e sedicenni che emergono come solisti hanno bisogno di protezione. Non a caso, dopo il gol decisivo segnato da Ngumoha contro il Newcastle, il capitano del Liverpool Virgil van Dijk ha sottolineato l’importanza di restare umile e continuare a lavorare sodo. «È un ambiente duro per un ragazzo», osserva Jennings, «e alcune tendenze non aiutano». «Il mondo è cambiato», prosegue. «Sempre più famiglie iniziano a fissare obiettivi chiari già a 12 anni, quando i figli entrano alle scuole superiori. Cercano di non lasciare nulla al caso pur di prepararli per la Premier League. Dopo il Covid, c’è stato un riallineamento: molte famiglie hanno deciso di educare i ragazzi a casa, e questo desta qualche preoccupazione». Su circa 3.000 giovani tesserati delle academy, una trentina è istruita privatamente, ma la Premier incoraggia a rimanere nel sistema scolastico tradizionale.
I teenager nuove star dei social
Un altro ostacolo è rappresentato dai social media, definiti da Jennings “temuti”. «Se cercate i canali YouTube dei ragazzi delle academy, troverete profili con un seguito enorme», dice. È il caso di Lorenzo Greer, 16enne del Birmingham City, con 1,7 milioni di iscritti. «Ma non sempre la popolarità online riflette il talento reale: puoi essere un giocatore mediocre, destinato a non emergere, eppure sembrare già una star. È molto più difficile fallire dopo tutta quella esposizione». Jennings chiarisce però che non è questo il caso di Ngumoha e Dowman: «Arsenal e Liverpool li conoscono bene, sotto il profilo fisico, tecnico, tattico ed emotivo». Anche il Fulham ha il suo talento, Josh King, elogiato dai tifosi già prima dell’esordio a 17 anni contro il Brighton. «La nostra filosofia è: se sei bravo, sei abbastanza grande. Ma bisogna considerare la maturità individuale. Josh, ad esempio, è uno dei giocatori più agili che io abbia mai visto, ma sapevamo che avrebbe impiegato più tempo per sviluppare forza e potenza».
I baby calciatori più protetti dei baby tennisti
Jennings riconosce i meriti dell’allenatore Marco Silva che ha saputo inserire i giovani negli allenamenti con i professionisti: «È come una conversione catalitica, perché si allenano con adulti. Quando hanno avuto minuti in campo, erano pronti». Il confronto con altri sport mostra i rischi delle carriere precoci. Nel tennis, Jennifer Capriati debuttò poco prima dei 14 anni ma ebbe problemi fisici e personali. Kathy Martin, direttrice per la salute mentale della Wta (l’associazione tennistica professionistica femminile), ricorda che i prodigi non sono una novità: Lottie Dodd vinse Wimbledon a 15 anni, nel 1887. Non è una cosa nuova che ragazze giovanissime abbiano la capacità di giocare ad altissimo livello», dice Martin. «Ma abbiamo avuto casi in cui non sono riuscite a durare a lungo nel professionismo». Già nel 1994 la Wta impose limiti d’età: 14 anni come soglia minima, con un calendario di tornei molto ristretto, progressivamente ampliato fino ai 18. C’è però una differenza importante: una tennista di 15 anni che vince un grande torneo deve affrontare la stampa, mentre un calciatore viene spesso protetto. Ryan Giggs, ad esempio, esordì a 17 anni con il Manchester United, ma fu tenuto lontano dai media fino ai 20. Oggi, spiega Martin, le giovani tenniste ricevono formazione per gestire le conferenze stampa, vengono familiarizzate con la sala stampa prima di competere e possono essere esentate da impegni serali per garantire il riposo necessario. Inoltre, la squadra di psicologi della Wta è stata rafforzata.