«Ci sono atlete che a 25 anni non hanno mai avuto il ciclo, altre che a 17 hanno l’osteoporosi»
La Sueddeutsche intervista un medico specializzato in disturbi alimentari: «I giovani non dovrebbero essere costretti a fare sport, dovrebbero essere felici»

Sulla Sueddeutsche un’intervista a Christine Kopp, medico sportivo dell’Ospedale universitario di Tubinga, da anni consulente per gli atleti alle prese con problemi di sottopeso e disturbi alimentari. Un problema spesso sottovalutato ma invece estremamente diffuso tra gli atleti.
«Per anni il problema è stato minimizzato o, forse, deliberatamente ignorato. Hai visto dodicenni con una percentuale di grasso corporeo del 3% che dicevano che i loro allenatori li consideravano troppo grassi. Come medico ero sbalordita. Mi sentivo come se stessi combattendo contro i muri. Ora ci sono progressi, si parla di questi casi, si discutono i rischi per la salute».
I disturbi alimentari non sono un problema esclusivamente femminile, sottolinea, anche se tra gli uomini sono meno diffusi. E spiega cosa incide nella loro comparsa.
«Gli atleti e gli allenatori vogliono ottenere il massimo dal corpo. Si cerca di lavorare su molte cose che sono legalmente possibili e questo include la perdita di peso».
La perdita di peso, però, è pericolosa.
«La maggior parte dei disturbi alimentari nello sport si sviluppa da una riduzione dell’apporto energetico e questo può innescare disturbi nell’equilibrio ormonale, difetti immunitari o aritmie cardiache».
Indica i segnali da tenere d’occhio:
«Se si nota che un atleta sta dimagrendo bisogna intervenire subito, così è possibile evitare una transizione verso un disturbo alimentare, o almeno prevenire la cronicizzazione, che è difficile da trattare. Un altro segno è quando un atleta dice: ‘mi alleno e mi alleno e non sto migliorando’. Oppure: ‘qualcosa non va, sono sempre stanco’. Se le atlete non hanno il ciclo mestruale, questo è un segnale. Altrettanto frequenti sono infezioni, squilibri ormonali, fratture da stanchezza».
Spiega perché i disturbi alimentari possono provocare fratture.
«Gli squilibri ormonali compromettono il metabolismo osseo. Sono a conoscenza del caso di una donna di 17 anni che ha avuto due fratture del collo del femore, chiaramente fratture da stress. Aveva un’osteoporosi manifesta: di solito ne soffrono le donne in età avanzata. E questo è un male perché è molto difficile da curare: gli attuali rimedi per l’osteoporosi sono sviluppati per le donne in menopausa, non per le diciassettenni. Questi farmaci rimangono nel corpo per anni perché si accumulano nelle ossa. Non sai nemmeno cosa può succedere».
E ci sono anche conseguenze a lungo termine, che vanno ben oltre la fine della carriera di un atleta, in caso di disturbi alimentari acuti.
«L’aumento di peso può verificarsi in poche settimane, ma ci vogliono mesi perché gli ormoni si regolino da soli e ci vogliono anni perché la densità ossea si riprenda. Quindi occorre resistere. Conosciamo casi di depressione a seguito di deficit energetici: questo è preoccupante perché può compromettere la vita. Alcune atlete all’età di 25 anni non hanno mai avuto il ciclo mestruale. Può portare al fatto che il desiderio di avere figli potrebbe non essere realizzabile in seguito».
Molti atleti con problemi importanti in tal senso sfuggono ai controlli pubblici.
«Gli esami annuali sono obbligatori solo per gli atleti di squadra. Ciò che spesso rende difficile l’aiuto a chi non ne fa parte sono i ritardi: ad esempio, quando un medico sportivo deve trovare un appuntamento con uno psicologo per un paziente fuori dalla clinica ci possono volere mesi. Per me è importante che la diagnosi iniziale sia completata entro due settimane. Una volta che un disturbo alimentare è iniziato, diventa difficile da trattare. Ma se scopri un atleta che ha perso forse solo quattro o cinque chili, di solito ci vogliono da sei mesi a nove mesi prima che le cose tornino in carreggiata».
Nel momento in cui ad un atleta appartenente ad una squadra viene diagnosticato un disturbo alimentare, il medico sportivo può impedirgli l’allenamento o la competizione.
«In questo caso, l’associazione sportiva di riferimento riceve un messaggio: il semaforo diventa rosso, l’atleta deve quindi presentarsi regolarmente per un Ecg in laboratorio. Alcuni hanno una frequenza cardiaca a riposo di 35 battiti soltanto».
Il semaforo rosso indica il divieto di competizione, quello giallo è per l’allenamento. Il verde indica che l’atleta è magro ma può essere dichiarato idoneo allo sport dopo un esame approfondito. Può anche succedere che un atleta sia considerato giallo e autorizzato a svolgere comunque attività perché è stabile, segue i consigli nutrizionali ed è in terapia o sotto controllo medico. La Kopp racconta le reazioni degli atleti quando vengono fermati.
«Piangono, ovviamente. Ma spesso mi chiedo perché lo tollerano: gli atleti notano che qualcosa non va. È importante per il medico avere il permesso di parlare con gli allenatori, la direzione o i genitori in modo che tutti siano a bordo».
Si sofferma su alcuni casi che ha avuto in cura.
«Alcuni conoscono il loro peso fino al grammo. Se chiedi, ti parlano di bulimia o anoressia sin dalla loro gioventù. Altri evitano la torta: se non posso mangiare una torta a un matrimonio perché temo di pesare 320 grammi in più il giorno dopo, allora ho una disabilità vitale. I giovani dovrebbero fare sport, ma non per forza. Spesso hanno solo 15 o 16 anni, dovrebbero esserne felici».