Barbano: il calcio italiano comunica come un regime di polizia

Sul CorSport. I club controllano le esternazioni dei tesserati come fossero un pericolo per la sicurezza nazionale. Si sentono proprietari del racconto del calcio 

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Sul Corriere dello Sport, Alessandro Barbano scrive della comunicazione del mondo del calcio in Italia. Qualcosa che assomiglia molto ad un regime di polizia.

“Il calcio italiano comunica come un regime di polizia. Controlla le più innocenti esternazioni di qualunque tesserato come fossero un pericolo per la sicurezza nazionale e preconfeziona, con veline e pseudo-interviste, il vuoto pneumatico di una comunicazione ufficiale che non manca solo di verità, ma soprattutto di realtà e di senso”.

Una pratica comune alla maggior parte dei club, scrive, che ormai dispongono “di professionisti della comunicazione che la comunicazione fanno di tutto per impedirla, con un realismo che supera quello del re”.

Un’involuzione che

“smaschera l’idea, anch’essa primitiva, che l’industria calcistica, in quanto produttrice di spettacolo, sia proprietaria del messaggio, che lo spettacolo invia”.

È la stessa ideologia che spinge le telecamere a non inquadrare la violenza e il razzismo sugli spalti.

“la stessa ideologia privatistica, e parzialmente totalitaria, che guida l’occhio dell’unica telecamera abilitata sul terreno di gioco lontano dai gesti razzisti o dalla violenza che si consuma sugli spalti. Come se tutto non accadesse in uno spazio pubblico e attorno alla più pubblica delle passioni del pianeta, e come se l’intero racconto di ciò che si muove attorno al calcio potesse essere riscritto e addolcito da chi se ne sente il proprietario esclusivo”.

Barbano la definisce “un’illusione suicida”. In questo ambiente ovattato “i calciatori rischiano di restare eterni bambini”, vengono

“educati all’ovvietà del pensiero e guidati a dire o a non dire in conferenze stampa dove vige il controllo preventivo sulle domande o la censura delle domande sgradite. Come se la leadership, che la sfida del campo li chiama ad assumere, non fosse anche un primato della personalità fondato sull’indipendenza di giudizio e sulla maturità culturale”.

La stessa cosa capita a tecnici e dirigenti.

“Non c’è un solo allenatore, anche dei più blasonati, che abbia preteso di tenere per sé i diritti di immagine, tra cui rientra la facoltà di comunicare in autonomia, ancorché nel rispetto degli interessi del club”.

Così, anche in caso di licenziamento anticipato, per tutta la durata del contratto i tecnici sono costretti a tacere.

“La crisi del calcio è figlia anche di questa dismissione di doveri in nome di interessi puramente
speculativi, a cui le macchine della comunicazione dei club forniscono una grottesca paratia, dietro cui nascondersi”.

 

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