Il figlio del ct Fabbri: «La Corea gli rovinò la carriera, poteva andare in un grande club, ma saltò tutto»

Al Foglio Sportivo: «Aveva solo un rammarico: essere arrivato alla Nazionale dopo un solo anno di Serie A. Non aveva la spregiudicatezza per gestire i rapporti con la stampa»

il figlio del ct fabbri

Il Foglio Sportivo intervista il figlio Roberto Fabbri, figlio di Edmondo, detto ‘Mondino’, il ct dell’Italia eliminata dalla Corea ai Mondiali del 1966.

«Avevo 15 anni e quella del 1966 fu un’estate pesante. Una grossa delusione per il babbo, per la famiglia, per l’Italia. con il tempo è riuscito a digerire un po’ quello che gli era successo, ma ripeteva in continuazione che c’è chi viene ricordato per un trionfo e chi per una delusione. A lui era toccata in sorte la seconda alternativa».

Fabbri era diventato ct nel 1962, a soli 40 anni. disputò un Mondiale pessimo, dal quale l’Italia uscì subito: era nel girone di Cile, Urss e Corea del Nord. La sua carriera finì, soprattutto per ciò che accadde dopo, racconta il Foglio. Fabbri non riusciva a darsi pace e pubblicò un dossier sulla sconfitta di Middlesbrough: aveva l’impressione che i suoi giocatori fossero via via più stanchi e collegò questo fatto a delle fialette rosa che venivano iniettate agli azzurri. Si confrontò con alcuni giocatori, Bulgarelli, Rivera, Rosato, Mazzola, Facchetti, Janich, Lodetti, Fogli e Pascutti, che confermarono i suoi dubbi. In lui prese sempre più corpo l’ipotesi di un complotto. Quando presentò la sua relazione alla stampa, la Federazione diede il via libera al medico federale Fino Fini di sporgere querela e licenziò il tecnico per giusta causa, squalificandolo per sei mesi. Anche i calciatori che gli erano stati vicini, ricorda il quotidiano, “correggono in qualche modo il tiro”. Fabbri restò solo, mentre sui muri comparivano le scritte “A morte Fabbri”.

“Per anni negli stadi di tutta Italia verrà accolto al suo ingresso in campo dal coro ‘Corea-Corea dei tifosi avversari”.

Roberto racconta:

«Tutta la sua carriera di allenatore fu condizionata da quella partita. Nel 1966 c’era la possibilità di andare in un grosso club ma saltò tutto per le troppe polemiche e per la squalifica. Fu il presidente del Torino Orfeo Pianelli l’unico a dargli una possibilità. Con i calciatori azzurri continuò ad avere un bel rapporto e non lo sentii mai avere parole poco carine nei loro confronti. Era comprensibile che al rientro nei loro club, cambiassero posizione».

Mondino diventò tecnico di Bologna e Cagliari.

«Ma dopo il Torino bis non aveva più grande entusiasmo nell’allenare e preferì collaborare da esterno con club come Reggiana, Fiorentina e Bologna. Il babbo era molto appassionato della terra e gli piaceva curare il suo podere nelle colline romagnole. Ma è sempre rimasto nel calcio. Alla domenica andava a vedere la partita e fece il commentatore tv per Rai, Fininvest e TeleMontecarlo. Il calcio  stata la sua vita, al secondo posto dopo la famiglia. Per noi figli è stato una figura esemplare. Era il tipico romagnolo: schietto, simpatico, ma sospettoso. E rompeva definitivamente con chi lo tradiva».

Continua, parlando di quell’Italia-Corea del Nord:

«Mio padre aveva solo un rammarico. Di essere arrivato alla Nazionale troppo presto, dopo un solo anno di Serie A con il Mantova. Non che non fosse preparato dal punto di vista tecnico e tattico, anzi. Ma non aveva ancora l’esperienza e la spregiudicatezza necessarie per gestire i rapporti con la stampa».

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