Quagliarella: «Il mio primo stipendio: un milione e seicentomila lire. Papà faceva l’imbianchino, non li guadagnava in un anno»

Al Corsera parla dell'incubo stalker, otto anni: «Andai alla Juve. A Napoli ora hanno capito, non sono più un traditore. La mia compagna dice che sono triste: non bevo, non fumo, non ho preso un chilo»

Quagliarella

Gc Bologna 07/03/2010 - campionato di calcio serie A / Bologna-Napoli / foto Giuseppe Celeste/Image Sport nella foto: Fabio Quagliarella

Quagliarella: «Il mio primo stipendio: un milione e seicentomila lire. Papà faceva l’imbianchino, non li guadagnava in un anno»

Fabio Quagliarella, 42 anni, intervistato dal Corriere della Sera, a firma Monica Scozzafava.

La voce in sottofondo della sua compagna: «Dillo pure che sei un uomo triste!».

Perché triste?
«Tristezza significa non bere, non fumare, mangiar sano? Allora lo sono, è vero! Non ho messo un etto da quando ho smesso. Non ho vizi, sono riservato e parlo poco. Sì, sono anche un po’ diffidente. Lo sono diventato. E allora Debora mi dice che vivo poco le emozioni. Non mi piace essere al centro dell’attenzione, ogni volta che sono costretto a pubblicare una foto sui social poi mi dico: ma perché? Alla gente cosa importa cosa faccio o dico? Ho sempre parlato con i gol, il resto è stato meno importante». 

Il primo stipendio?
«Ci penso spesso: avverto il piacere e anche il disagio di allora. Un milione e seicentomila di vecchie lire, il primo contratto da professionista col Toro. Che senso di colpa. Mio papà faceva l’imbianchino e quei soldi tutti insieme non li vedeva in un anno intero. Ma erano i nostri, questo contava. Mi ha aiutato nella gestione dei miei guadagni, anche quelli più importanti. Oggi ragiono con due teste, la sua e la mia».

Racconta l’incubo di otto anni di uno stalker – un amico di famiglia, della polizia postale, che lo ha tormentato. A casa ha pacchi di lettere alti un metro, lettere schifose, dense di accuse ignominiose. Dice che gli ha rubato otto anni di vita.

Quagliarella e le accuse dello stalker, il Napoli gli disse che sarebbe andato via

L’accusa che non gli perdona.
«Tutte infamanti, quella di pedofilia è schifosa. L’arresto di quest’uomo che si fingeva amico e ci diceva che ci stava aiutando a capire chi fosse lo stalker è stata una liberazione. Dopo è stato pure peggio: quando per tanti anni sei ricattato, la paura ti resta dentro. L’accusa di essere un pedofilo ma non solo, anche di essere invischiato con camorra, droga e calcio scommesse. Le minacce di morte a mio padre: “Gli spariamo in testa” e “Adesso mettiamo una bomba nel suo palazzo”. Una volta fece trovare sotto casa una bara con sopra la mia foto. Mi stava distruggendo la carriera, rovinò il mio trasferimento al Napoli».

Mandò lettere anche club di De Laurentiis.
«Il Napoli dopo una stagione mi comunicò che sarei andato via. Non potevo dire nulla, c’erano indagini in corso. Ma neanche loro fecero riferimento a quelle lettere. So soltanto che quando arrivai al Napoli dissi al mio procuratore che sarei rimasto a vita e invece…».

Andò alla Juventus e fu accusato dai tifosi partenopei di essere un traditore…
«Sono un professionista e sono andato. A Torino fui accolto bene, con Conte ci siamo divertiti. A Napoli dopo anni tutti hanno capito, e ricevo ancora oggi testimonianze di affetto».

Ferrero presidente?
«Simpatico, effervescente. Ho avuto un bel rapporto con lui. Bravo a fare plusvalenze. Quando doveva vendere Muriel mi disse: fagli fare tanti gol, devo cederlo. Io: pres, stia sereno con me va in doppia cifra. Andò così».

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