Dorina Vaccaroni, la prima “divina” dello sport italiano: a 60 anni fa ultracycling
La Gazzetta ha intervistato il mito della scherma: "Vivo in California da più di dieci anni, l'Italia mi stava stretta. Non mi facevano allenare perché non avevo il diploma magistrale, assurdo"

Dorina Vaccaroni, un nome che evoca un’atmosfera, un intero periodo. “Iconica”, diremmo oggi. In pedana col suo fioretto già a 14 anni ai Mondiali di Buenos Aires. A 16 alle Olimpiadi di Mosca 1980. E poi le copertine delle riviste, il veloce matrimonio col calciatore Andrea Manzo. La “Divina Dodi”, la prima divina dello sport italiano. Oggi vive tra Asiago e San Diego, in California. E fa centinaia e centinaia di chilometri in bici: si chiama ultracycling. Ha 61 anni e “l’ultima avventura – racconta alla Gazzetta dello Sport – è stata l’Ultracycling Dolomitica, 718 chilometri, 22 passi montani, quasi 20mila metri di dislivello. Ho impiegato poco più di 47 ore. Bella tosta, alla fine il mal di gambe l’ho sentito tutto. Pioggia, freddo, poi caldo… Ma emozioni infinite. In bici posso correre quattro giorni senza dormire”.
Ha partecipato anche alla Race Across America: 5000 chilometri coas to coast dal Pacifico all’Atlantico, più di 50mila metri di dislivello. “Una corsa incredibile, attraverso 12 Stati. L’ho vinta due volte. Ti prende come nessun’altra. È un viaggio dentro te stesso, una prova di resistenza e resilienza. Ho già messo nel mirino la quinta, che sarà a metà giugno 2026. Con un grande obiettivo. Concluderla in dieci giorni. Finora sono arrivata a undici. Ce la posso fare, io ci credo. Mi alleno tanto, a volte esco anche alle 6 e rientro alle 16. Poi insegno scherma e sono mental coach in una palestra a San Diego“.
La California… “Prima stavo dalle parti di San Francisco, poi mi sono trasferita a sud perché il clima è migliore. A San Diego sto molto bene. L’Italia, che amo, mi stava stretta. Volevo allenare fiorettisti, ho cresciuto Martina Favaretto ma non ho più potuto seguirla perché avrei dovuto avere il diploma magistrale. Assurdo. Così sono andata in Svizzera. E poi in California”.
“Sono sempre stata schietta. Non so se questo mi sia costato, forse un po’ sì, ma non mi importa: non avrei mai rinunciato a dire le cose come stanno. Volevo stare per conto mio, senza per forza avere in stanza una compagna, con cui magari non c’era feeling. E che era pure una mia avversaria. Sì, Fini mi dava carta bianca. L’importante era che io conquistassi medaglie. L’invidia delle altre? Forse perché ero popolare. Fa parte della vita, non me ne è mai fregato molto”.