L’ha teorizzato Jamie Hamilton. E’ un paradigma nuovo, implica una sorta di mobilità casuale attorno alla palla, senza alcun sistema o struttura apparente. E indovinate chi lo fa già? Sì, esatto: Ancelotti

Si chiama “relazionismo”. Che è in parole poverissime l’ultima evoluzione tattica del calcio, la più moderna. Il calcio posizionale è superato, andato, vecchio. Ora vince il “caos”, che poi caos non è. Lo spiega molto molto meglio un articolo su Medium di Jamie Hamilton ripreso da Natalia Arroyo sul Paìs.
E’ un paradigma nuovo, “una opposizione al diffuso gioco posizionale, che implica il passaggio dall’ancoraggio dei giocatori in determinate aree per mantenere ordine e razionalità in campo al tentativo di una sorta di mobilità casuale attorno alla palla, senza alcun sistema o struttura apparente. Non è caos. È gioco”.
“Laddove l’occhio allenato, l’occhio posizionale, vede un accumulo sproporzionato di giocatori nello stesso settore e trema già per la possibilità di perdere palla a causa di una mancanza di equilibrio, Hamilton vede delle opportunità. Poesia. Disegna diagonali, crea scale e inventa giocate che sono pura imprevedibilità e, per questo, sembrano la minaccia peggiore per gli avversari che difendono posizionalmente”.
E’ un gioco tridimensionale, opposto a piani tattici piatti. E’ filosofia, ma anche architettura applicata al pallone. “Ma come si fa ad allenare così tanta mobilità? Si tratta solo di mettere insieme i giocatori e lasciarli fluire? Quali dovrebbero essere i limiti della libertà dei calciatori in campo? Ne parla Andreu Enrich nella sua ammirata opera La cittadella di Saint-Exupéry. Crede che il compito dell’allenatore sia costruire attorno ai giocatori; catturarli in una specie di muri e pendii, che poi abitano, percorrono e finiscono per chiamare una squadra. Per Enrich, l’allenatore è un architetto che, in base a come progetta la sua città, promuoverà alcuni modi di vivere – giocare – e ne ridurrà, quasi eliminandone, altri. Ecco come è modellato il gioco. Forse, proprio a causa di questo paragone urbanistico, a causa del fatto di pensare al gioco e di preparare le partite a partire da planimetrie prese da AutoCad, Frenkie De Jong ritiene che il calcio stia diventando troppo robotico, troppo tattico. Lo ha detto in un’intervista con Voetbal, lamentando che tutto è troppo programmato e che i giocatori sono limitati nelle loro opzioni relazionali per creare triangoli. Di nuovo l’architettura, le geometrie”.
“Schermarsi con dei muri significa rinchiudere le persone e isolarle. Ci sono giocatori che non sanno come giocare su una trama e che lavorano meglio quando coprono più terreno. Penso a Bellingham, a Fede Valverde. A De Jong. Non credo che Ancelotti sappia che sta costruendo un calcio relazionista, ma il suo attacco al Madrid è più istintivo che basato su schemi. Solo Carlo sa come si è arrivati a questo punto”.