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De Laurentiis con la filosofia guappesca del “m’o vveco io” ha riportato Napoli al luogo comune dell’ammuina

Qualcuno lo convinca che le sue soddisfazioni se l’è prese e le ha fatte prendere, ora è arrivato il momento di tornare dietro le quinte

De Laurentiis con la filosofia guappesca del “m’o vveco io” ha riportato Napoli al luogo comune dell’ammuina
Napoli's president Aurelio De Laurentiis reacts during Napoli's training session at the Parc des Princes stadium in Paris on October 23, 2018 on the eve of their Champions' League football match against Paris Saint-Germain. (Photo by FRANCK FIFE / AFP)

De Laurentiis con la filosofia guappesca del “m’o vveco io” ha riportato Napoli al luogo comune dell’ammuina

È possibile vedere da Ponte Vecchio la sagoma del Vesuvio illuminata dai fuochi d’artificio? Se chiudi gli occhi ed è la notte del 4 maggio 2023 può capitare. Ma il fatto è che quegli occhi, dopo appena qualche settimana dall’urlo di riscatto che solo Maradona era riuscito a liberare, sono rimasti sempre aperti. E su uno spettacolo triste, a tratti volgare, che visto da qui – a 400 chilometri e più da Kvara e compagnia – è ancora più deprimente.

Il don Aurelio senza freni ha lo stesso effetto di un concerto di Gigione davanti al pubblico del Blue Note di New York. E il pallone c’entra poco. Anzi quasi nulla. Perché in questa sistematica distruzione di un sogno cresciuto un po’ per caso e un po’ no c’è tutta la filosofia guappesca del “m’ ‘o vveco io”. Spalletti se ne va? “M’ ‘o vveco io”. Giuntoli s’è sfasteriato e vuole andare alla Juventus? “M’ ‘o vveco io”. Kim ha lasciato praterie davanti a Meret? “M’ ‘o vveco io”.

Peccato che poi non si sia visto niente di quello promesso nelle ore della festa scudetto (“questa squadra la può guidare chiunque”), a Capodimonte, a Dimaro, a Castel di Sangro o nelle giornate del mercato di gennaio. E così il Napoli e Napoli nell’immaginario collettivo sono ricaduti nel più classico dei luoghi comuni legato alla città che trova sempre il modo di farsi del male da sola, che si limita a fare “ammuina”. E più questo succede più al napoletano emigrante s’arravogliano nello stomaco colazione, pranzo e cena.

Spesso Il Napolista ha sottolineato come il Napoli vincente di Spalletti fosse lontano anni luce dalla visione stereotipata della napoletanità che tanto piace anche agli autori delle fiction e delle serie tv. Era solo un bluff? Troppo facile pensarlo ora. Di certo quell’immagine nitida, soprattutto grazie alle uscite sempre più sguaiate di don Aurelio, si sta sbiadendo.

Amerigo Speranza, il protagonista del romanzo “Il treno dei bambini” di Viola Ardone riesce a fare pace con la Napoli che aveva lasciato in fuga molti anni prima trasformando il rancore nella ricerca di una nuova prospettiva, colta nello sguardo bambino del nipote. Qualcuno convinca don Aurelio che le sue soddisfazioni se l’è prese e le ha fatte prendere, ora è arrivato il momento di tornare dietro le quinte e di lasciare spazio a chi allucca meno e pensa di più al pallone. Ma molto di più. Magari con lo sguardo di un bambino.

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