Il sondaggio su 800 persone scopre l’acqua calda. Il bello è che per il 74% degli intervistati i giocatori devono approfittare delle offese per sensibilizzarli

Per metà degli italiani il razzismo allo stadio è “normale”: e i giocatori devono subire in silenzio
La notizia non è tanto che l’Italia è un Paese razzista (l’acqua calda è stata scoperta da un bel po’…), è più che altro il sillogismo “vado allo stadio per divertirmi in famiglia, e quindi urlo insulti schifosi”. La Gazzetta pubblica i risultati di un sondaggio di SWG condotto su un campione “giudicato rappresentativo” di 800 persone. Ne vien fuori, appunto, che metà del campione (la Gazzetta generalizza in “metà degli italiani”) considera normale insultare i propri campioni, gli avversari e gli arbitri allo stadio.
Per otto intervistati su dieci “andare al palazzetto o allo stadio dovrebbe essere un momento rilassante per la famiglia, però , sempre secondo il sondaggio, per un italiano su cinque tifare dal vivo significa lasciarsi andare a comportamenti non appropriati e quel che è peggio a insulti razzisti”.
I buoni vecchi padri di famiglia, insomma. I valori.
“A leggere le conclusioni del sondaggio – commenta la Gazzetta – non si tratta soltanto di razzismo, il che sarebbe già ovviamente un fatto gravissimo: per metà degli italiani insultare la propria squadra o il proprio campione se non giocano bene e non ottengono i risultati sperati è un elemento del tifo, così come intimidire gli avversari o insultare il direttore di gara. Eppure, dagli sportivi oggetto di insulti ci si aspetta un comportamento esemplare: secondo il 74 per cento degli intervistati, un atleta in azione dovrebbe cogliere queste occasioni per sensibilizzare il pubblico, anche a costo di ricevere squalifiche. Come dire: io non lo faccio, ma dovresti farlo tu. Io non intervengo e chiamo lo steward di turno perché metta a posto gli scalmanati, però mi aspetto che tu lo faccia dal campo”.
Giustamente la Gazzetta titola il paragrafo “BRAVA GENTE”: “Per un italiano su cinque, recita il report, sono normali gli insulti ai giocatori legati alla loro nazionalità ed etnia. Per un intervistato su cinque, il giocatore deve sopportare qualsiasi cosa senza reagire: la percentuale è esigua, ma preoccupante. Anche perché per la maggior parte degli intervistati questi atleti sono di esempio per i giovani e devono sapersi controllare. Lo pensa il 73 per cento del campione, il 77 per cento di quelli che si dichiarano tifosi di calcio”.