Enzo d’Errico: accusa il calcio italiano di non voler modernizzarsi ma poi, in casa sua, adotta l’arcaico modello dell’uomo solo al comando
De Laurentiis come un novello Nerone rapito dal suo irrimediabile narcisismo. È quel che scrive il direttore del Corriere del Mezzogiorno Enzo d’Errico nella riposta a una lettera.
Questa la lettera di Adolfo Baretta.
Caro direttore, non mi rassegno all’idea che Valter Mazzarri sia stato trattato come «la sporta del tarallaro», per dirla alla napoletana, dal presidente del Napoli. O con una spietatezza irricevibile per dirla con maggiore chiarezza. I problemi della squadra di calcio azzurra non sono riconducibili a questo allenatore cui è stato chiesto l’impossibile e credo che De Laurentiis dovrebbe prendere lezioni di impresa sportiva, oltre che di stile, dalla Gevi basket.
Questa la risposta di Enzo d’Errico.
Caro signor Baretta,
l’esonero di Mazzarri, a mio modesto avviso, era necessario. Nel calcio, come in ogni altro sport, contano i risultati. E i risultati sentenziavano, in maniera inoppugnabile, il fallimento del tecnico toscano, che era riuscito a fare peggio anche del vituperato Garcia, trascinandoci dal quarto al decimo posto. Inoltre la squadra in campo appariva confusa, priva di grinta, incapace di costruire un gioco vincente. Sia chiaro, a Mazzarri dobbiamo dire grazie per aver accettato una sfida impossibile e aver mostrato il grande amore che lo lega alla città e alla maglia azzurra. Tuttavia il tempo è un giudice impietoso che non si cura dei sentimenti e divora chiunque tenti di affrontarlo. Non esiste passato che possa essere coniugato al presente.
Lo stile con cui è stato condotto l’avvicendamento in panchina è tutto un altro discorso. Fossi stato al posto di Mazzarri, avrei dato le dimissioni per evitare di essere congedato in diretta alla vigilia del match con il Barcellona. Ma ciascuno è padrone delle sue scelte.
L’unica incontrovertibile verità è che il terzo cambio di allenatore certifica il fallimento di una stagione che ha visto Aurelio De Laurentiis ergersi a piccolo imperatore. Come un novello Nerone rapito dal suo irrimediabile narcisismo, il presidente ha incendiato il ricordo del terzo scudetto e ridotto in cenere l’entusiasmo dei tifosi. In un impeto di onnipotenza ha creduto di poter fare tutto da solo o, al massimo, in famiglia. Nessuna azienda, però, può avere successo se manca una struttura imprenditoriale, se competenza e managerialità soccombono di fronte a improvvisazione e arroganza. L’addio di Giuntoli e Spalletti, stanchi delle continue ingerenze, è stato colpevolmente sottovalutato. De Laurentiis, spesso a ragione, accusa il calcio italiano di non voler modernizzarsi ma poi, in casa sua, adotta l’arcaico modello dell’uomo solo al comando. Una bella contraddizione, non le pare? Speriamo che questo calvario serva da lezione per l’anno prossimo. Dico speriamo perché con Adl nulla è sicuro.