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Gigi Riva: «se dovevo togliere la gamba quando tirava una brutta aria, me ne stavo a casa mia»

Lo scrive Garanzini su La Stampa. È il capocannoniere della Nazionale con 35 gol in 42 partite nonostante due gravi infortuni

Gigi Riva: «se dovevo togliere la gamba quando tirava una brutta aria, me ne stavo a casa mia»
Il gol di Gigi Riva a Napoli contro la Germania Est

Gigi Riva raccontato da Gigi Garanzini per La Stampa. Garanzini ha scritto l’autobiografia di Riva. Il cannoniere di tutti i tempi della Nazionale ha subito due gravi infortuni nella sua carriera.

È stato il più grande attaccante italiano di sempre. Lo racconta il suo score in maglia azzurra, i 35 gol in 42 partite. E quanti di più sarebbero stati se per due volte, nel ’67 col Portogallo e nel ’71 con l’Austria, non gli avessero spaccato una gamba. Non solo perché entrambe le volte ci vollero per mesi per guarire e rientrare: ma perché la gravità e la conseguenza delle lesioni gli accorciarono brutalmente una carriera chiusa alla soglia dei 31 anni.

Credete che invecchiando Gigi rimpiangesse un po’ più di cautela con quegli avversari di allora? In un calcio in cui lo slogan era palla contesa palla alla difesa e il Var era di là da venire anche e soprattutto in materia di brutalità verso gli attaccanti?

Anch’io ci ho provato nel corso dei nostri incontri. E con tutte le cautele del caso, ma sei sicuro Gigi che fosse il caso di rischiarla sempre la gamba con i macellai dell’epoca? Rispose duro, alzando la voce di un buon mezzo tono. Io sapevo giocare solo così: se il problema era togliere la gamba quando tirava una brutta aria, me ne stavo a casa mia. 

Gigi Riva non era un attaccante, era l’attacco.

Lo scrive Roberto Beccantini per il Fatto quotidiano.

Tre volte capocannoniere, in Serie A ne firmò 156, e chissà quanti sarebbero stati se solo avesse potuto contare sul liberismo normativo della sbronza moderna: dal mani-comio al fuori-giochicidio, dagli autogol strozzati in culla al potere rubato ai difensori e venduto ai cacciatori, di frodo e non.

Portava il numero undici, mancino fino al midollo, Gianni Brera lo ribattezzò “Rombo di Tuono”. Per come tirava, per come riempiva la ciccia delle partite. Non un lampo: un tuono. Definirlo attaccante è riduttivo. Riva era l’attacco. Lo copriva tutto, per tutti.

Orfano di papà Ugo a nove anni e di mamma Edis quando sbarcò a Cagliari: “Cosa vuoi che ti dica? Che dedico il gol alla Sardegna o all’italia se gioco in Nazionale? Ma non facciamo ridere: io non ho nessuno a cui dedicare nulla. Segno per dovere”, confessò a Gianni Mura.

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