ilNapolista

Sinner: «Quando sono tornato dall’Australia e ho saputo che era morto il nonno ho pianto»

A Sette: «Il babbo si svegliava alle 7 di mattina, non si sapeva mai a che ora tornava. La mamma faceva la cameriera. Dopo scuola andavo dai nonni»

Sinner: «Quando sono tornato dall’Australia e ho saputo che era morto il nonno ho pianto»
2021 archivio Image Sport / Sport / Tennis / Jannik Sinner / foto Imago/Image Sport

In occasione della Atp Finals di Torino, Jannik Sinner si lascia andare ad un’intima intervista con il Corriere della Sera 7. Tra gli argomenti affrontati c’è il tennis ma ci sono anche i suoi affetti più cari e la sua visione dell’essere un tennista professionista.

«Le Atp Finals? Il sogno di chiunque. I migliori otto dell’anno, a Torino. Era il mio obiettivo di inizio stagione, l’ho centrato in anticipo. Sono contento: è la conferma di un lavoro che funziona e di una stagione stabilmente ad alto livello. Bisogna anche considerare con quanti tornei ci siqualifica per le Finals, con quali risultati…».

Tra le teste di serie i già sconfitti Alcaraz e Medvedev. E Djokovic, perché è diverso?

«Perché ti ritrovi davanti uno che ha vinto 24 Slam, tre su quattro solo quest’anno. A livello di risultati, il migliore che questo sport abbia mai avuto. Io spero di incontrarlo prima possibile, già nel girone, sono le partite importanti per la crescita, quelle per cui dico: vinco o imparo. Djokovic mi dirà dove sono. Io mi ci sono sentito più vicino quest’anno in semifinale a Wimbledon, pur perdendo in tre set, che l’anno scorso nei quarti, quando avevamo lottato per cinque. Non vedo l’ora. Sono le partite per cui mi alleno tutti i giorni, quelle che mi caricano di pressione».

E si arriva agli affetti di Sinner:
«Ho una famiglia normale, nel senso che ognuno fa il suo lavoro. Il babbo si svegliava alle 7 di mattina, non si sapeva mai a che ora sarebbe tornato, faceva lo chef nel rifugio. La mamma aiutava i nonni a pulire gli appartamenti, poi faceva la cameriera. Quando io tornavo da scuola andavo dai nonni, Josef e Maria, a pranzo e a fare i compiti. Mark, mio fratello, è la persona più onesta e vera che io conosca. Quando sono in difficoltà, mi rivolgo a lui. Mi conosce, e ha sempre la parola giusta. Gli amici più cari sono quelli della scuola, non quelli che si avvicinano ora che sono un top player. A loro se vinco o perdo non gliene frega niente. Mi telefonano e la prima domanda è: come stai? È una cosa che mi tiene ancorato.

E ancora:

«Sto parlando di vita vera: la mia pressione è niente in confronto a quella di un chirurgo, di un capofamiglia che deve mettere in tavola la cena. Questa è pressione: non sapere si ti entra un razzo in casa tra cinque ore o cinque giorni. Giocare a tennis è una cosa di cui sentirsi onorati. Mi rende felice ma è giusto avere dubbi».

Della serie…

«Dopo l’allenamento mi chiedo: ho fatto abbastanza? Potevo sforzarmi di più? È il mio lavoro, ci tengo. C’è chi pensa di lavorare troppo, io penso sempre di non aver lavorato a sufficienza. La mia mentalità è questa».

Cosa fa piangere Sinner?
«Quando è mancato il nonno, a gennaio, ero in volo di ritorno dall’Australia. Sono atterrato a Milano alle 6, il nonno era morto alle 4. Ho trovato il mio babbo in aeroporto: è stato zitto ma ho visto subito che c’era qualcosa che non andava. Me l’ha detto per strada, e mi sono trattenuto. Questo non lo sanno nemmeno i miei genitori: poi, da solo, in cameretta, qualche lacrima è scesa. È normale».

Il rapporto di Sinner con il tennis:

«Per il tennis sono andato via di casa a 13 anni. Mi dà emozioni positive e negative, gioie e dolori. Mi
dà tutto. Respingo il concetto di essere un’azienda: il mio pensiero non è il fatturato, non sono mai
i soldi. Se lo fossero giocherei sempre, accetterei le esibizioni, non prenderei pause. A me al contrario interessa alimentarmi bene, dormire le ore giuste, mangiare a casa ogni volta che posso, farmi trovare in campo pronto la mattina dopo. Pronto a migliorare. Se non gioco il Master 1000 di Madrid o il girone di Davis, e capisco che i tifosi magari ci rimangono male, è perché sono a Montecarlo che mi spacco di lavoro. Il mio obiettivo non è fare soldi: è diventare la migliore versione di me possibile».

Alle finale di Malaga ci sarà e così alcuni tifosi ripenseranno alle critiche:

«Spero di sì. Però sia chiaro: se vedrò difetti nel mio tennis, farò sempre la scelta di migliorare me
stesso. Se non sei al top, se scendi di rendimento del 3%, gli altri ti sbranano. Non mi piace commettere lo stesso errore due volte».

ilnapolista © riproduzione riservata