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Il Napoli e il campionato della marmotta

Batte le più deboli, grancassa mediatica e poi lo stop con le medio-forti. Non è un disastro, è nella terra di mezzo, servirebbero idee chiare e coraggio

Il Napoli e il campionato della marmotta
19 January 2020, US, Punxsutawney: Groundhog Phil on the arm of his master John Griffiths. Photo: Christina Horsten/dpa (Photo by Christina Horsten / DPA / dpa Picture-Alliance via AFP)

Il Napoli di Garcia ha giocato dieci partite di campionato più di tre di Champions, siamo a due mesi e mezzo di stagione agonistica. Non pochi. Fatte le debite proporzioni, più o meno equivalgono al 40% delle sezioni scrutinate in caso di elezioni. Siamo all’incirca alla seconda proiezione dei sondaggi. Non exit poll. Sondaggi. Con le dovute cautele, perché lo sport non sono le elezioni, il quadro ci sembra delineato. Il Napoli in campionato è in una posizione oscillante tra il quarto e il sesto posto (dipende dai risultati di Fiorentina e Atalanta). È a sette punti dall’Inter capolista. Non ha mai battuto una squadra medio-forte. Ne ha affrontate quattro. Ha perso contro Real Madrid, Lazio e Fiorentina. Ha pareggiato contro il Milan dopo essere stato sotto due a zero all’intervallo. Ha le settima difesa del campionato. Ha subito 12 reti, più del doppio dell’Inter (5).

E soprattutto il Napoli non mostra ancora una propria identità. Non nel senso sarrita o spallettiano del termine. Non ha nemmeno un’identità Zelig. Non è chiaro cosa sia né le parole di Garcia aiutano. Perché l’allenatore francese non rivendica nulla. Schiacciato sul 4-3-3 per volere presidenziale, a volte sembra liberarsi del bavaglio e prorompere in un accesso passivo-aggressivo: “l’ho detto dal primo giorno che c’è vita oltre il 4-3-3”. Come se ci fosse qualcuno, invece, con la pistola puntata che lo obbligasse a questo schema di gioco. Per quel che ci riguarda, se abiura dal 4-3-3 possiamo solo esserne lieti.

Ma torniamo a bomba. Quello del Napoli ci sembra il campionato della marmotta. Batte piuttosto agevolmente le squadre più scarse – ed è un merito da non sottovalutare, nemmeno numericamente –, alimenta la grancassa mediatica che in alcuni casi si mostra untuosetta con il presidentissimo accreditato di poteri taumaturgici, con servizi e articolesse che andrebbero letti col piglio dell’Istituto Luce (“anche quest’oggi il magnifico presidente si è recato nella distesa di Castel Volturno e da lì ha potuto mirare le esercitazioni dei prodi…”), ci si avventura in disamine varie fino a che il Napoli non affronta una formazione di medio cabotaggio. Segue sconfitta o come ieri pareggio. E si riparte con le sfide definite da ultima spiaggia contro formazioni che vanno da scapoli e ammogliati al cral dell’Italsider. Ri-segue vittoria che ovviamente viene spiegata con la presenza di De Laurentiis a bordo campo o con una sua discesa negli spogliatoi nell’intervallo (siamo nei pressi dello sciamanesimo) e riparte il tran tran. Il Napoli va avanti così da due mesi e mezzo. La prossima ultima spiaggia si chiama Salernitana. Che nei resoconti di avvicinamento viene via via paragonata alla mitica Honved, allo United di Best e così via…

Vanno fatte due osservazioni. La prima è questa: battere le squadre più deboli è un grande pregio. Contando in Serie A almeno dodici di formazioni evidentemente più scarse del Napoli, facendo rapidamente un paio di calcoli ne usciamo con ventiquattro vittorie sicure che portano in dote 72 punti. Due sono stati persi col Genoa, due col Bologna (che però è forte). Ma insomma anche 64 punti sarebbero tanti. Se il Napoli cominciasse a battere qualche squadra media, gli ottanta punti sarebbero a portata di mano.

Seconda osservazione: a Garcia va riconosciuto l’alibi Osimhen. Perché, al netto della indiscutibile bravura di Raspadori, giocare con o senza Osimhen fa tutta la differenza del mondo. E andrebbe anche riconosciuto – ma questo ci sembra pacifico – che il buon Natan non è Kim, o quantomeno è lontano dal rendimento napoletano di Kim. E che se a centrocampo Cajuste un posto fisso non lo ha trovato nemmeno in assenza forzata di Anguissa, un motivo ci sarà. Comprendiamo le critiche a Garcia ma è una persona che vive di calcio da quarant’anni. I calciatori li sa valutare. Anche se a nostro parere il Napoli è una squadra forte che ha o la rosa più attrezzata del campionato o la seconda più attrezzata e completa del campionato.

Il Napoli si trova in una terra di mezzo. Non è più la formazione scintillante dello scorso anno (ma non lo sarebbe stato nemmeno con Spalletti, questo lo sa anche chi sostiene il contrario) ma allo stesso tempo non è nemmeno allo sbando. Sta per qualificarsi agli ottavi di Champions. È ampiamente in corsa per il Mondiale per club. Lo scudetto è lontano più nei fatti che nei numeri (sette punti il distacco dall’Inter). Non c’è o non c’è ancora un vero e proprio disastro che giustificherebbe l’esonero. Occorrerebbero le idee chiare e una discreta dose di coraggio. O per dire: si va avanti con Garcia ma con reale fiducia, senza De Laurentiis perennemente a bordo campo. Oppure per dire: non è cosa, ho sbagliato (prova dura, Fonzie docet), si volta pagina. Nel caso in cui nessuna delle due strade dovesse essere presa e si proseguisse invece come nell’ultimo periodo, forse avremmo anche la risposta all’ibrido tecnico-tattico che vediamo in campo. Sarebbe il riflesso di altro.

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