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Il problema del Milan è il problema del calcio italiano: è alta finanza spacciata per love-story

Per Cardinale il Milan è un investimento. Deve avere un ritorno (questo gli interessa) e Maldini è un dirigente che ha speso male i soldi

Il problema del Milan è il problema del calcio italiano: è alta finanza spacciata per love-story
Redbird Capital Partners founder and AC Milan's owner Gerry Cardinale (C) talks with former AC Milan player Paolo Maldini (R) prior to the Italian Serie A football match between AC Milan and Inter Milan at the San Siro stadium in Milan on September 3, 2022. Isabella BONOTTO / AFP

Il caso Milan dovrebbe essere trattato con profondo interesse. Perché è il caso del calcio. In particolare italiano. Il calcio è un business di primissimo livello, dove girano miliardi di euro, ma che viene spacciato alla massa come se stessimo parlando del torneo scapoli ammogliati, delle partitelle tra colleghi il giovedì sera. Il tutto perché si ha vergogna a dire che tutto, ma proprio tutto, ruota attorno ai soldi, al dio denaro unico e solo imperatore. Da noi pare brutto, non si dice. E così assistiamo a un intreccio di narrazioni grottesche, con allenatori e/o giocatori che accetterebbero o non accetterebbero una determinata destinazione in base alle possibilità di vittoria. Balle. Oggi ahinoi – e ovviamente ahilui – non c’è più Mino Raiola l’unico nel mondo del football a raccontare la realtà per quella che era.

Il calcio è alta finanza che viene spacciata per love-story. O peggio per una telenovela brasiliana. Nelle conferenze stampa, o nelle interviste tv, andrebbe sempre il sottopancia con il salario netto dell’intervistato. Aiuterebbe a contestualizzare.

Ma veniamo al Milan e alla rottura tra Cardinale e Maldini. Apriti cielo. La nuova proprietà ha rotto con l’ambasciatore della storia rossonera nel mondo. La rottura è improvvisa solo per chi non vuole guardare in faccia la realtà. Cardinale non ha investito nel Milan perché vuole creare un grande Milan. Cardinale ha investito nel Milan perché vuole guadagnarci, vuole avere un ritorno del suo investimento. Quando ha cercato investitori negli Stati Uniti, nella brochure RedBird ha parlato quasi esclusivamente dello stadio. Gli americani sono molto diversi da noi. Per loro è quasi tutto money, guardano straniti chi osserva e cataloga il mondo non in base al denaro.

Cardinale non vede il Milan come un club che deve migliorare il quarto posto in classifica. Per Cardinale il Milan è un investimento. Deve costruire lo stadio quanto prima. E nel frattempo deve riuscire a continuare ad andare in Champions e possibilmente “arrangiarsi” col player trading. Non avrebbe fatto schifo a Cardinale se il Milan invece di aver acquistato de Ketelaere (pagandolo 35 milioni), avesse acquistato Kvaratskhelia (pagato un terzo). Ma non per motivi calcistici. È proprio la prospettiva che è diversa. E poiché la narrazione calcistica in Italia è tutta improntata alla “volemose bene”, all’ipocrisia ai massimi livelli, è un punto di vista impossibile da comprendere.

Per dirla in termini tecnici, lo scopo di Cardinale è quello di ottenere abbastanza cash-flow per pagare le rate del prestito e per offrire un ritorno agli investitori (più un apprezzamento del valore della società alla rivendita, che si aggiungerebbe ai ritorni). Si calcola che la proiezione, secondo le cifre contenute nella presentazione ai potenziali investitori (pitch deck) fosse intorno al 6% annuo – il che sarebbe davvero un ritorno basso quando i Btp, che sono per definizione meno rischiosi di un investimento nell’equity di una società non quotata, rendono quasi il 5%.

Questo è il punto. Poi, chiaramente, non è che abbia in animo di distruggere il Milan. Ma non ci pensa neanche lontanamente a investire su un calciatore che poi potrebbe rivelarsi un buco nell’acqua. È un rischio che non ha alcuna intenzione di assumere. L’idea che circonda la figura di Maldini è legata a un calcio che non esiste più da tempo. Lui questo lo sa benissimo. Il calcio in cui giocava Maldini era un altro universo, peraltro lui giocava in un club che poteva spendere molto più degli avversari. E che magari aveva una visione imperialistica del calcio. Anche per altri motivi. Maldini è stato semplicemente trattato come varrebbe trattato un qualsiasi dirigente d’azienda che ha speso male, molto male, i soldi dell’azienda. E in tutte le aziende qualsiasi dirigente che spenda male i soldi dell’azienda, viene accompagnato alla porta. Tutto qua.

Questo Milan è il Milan dell’alta finanza. E questo è il calcio dell’alta finanza. È assurdo, dopo i Mondiali in Qatar, dopo le inchieste in Inghilterra sul Manchester City, dopo lo stravolgimento delle proprietà nel calcio italiano, che ci si sorprenda ancora per questo. Più si alimenta la narrazione strappalacrime, più non si comprenderà nulla di questo mondo. A noi non pare di ricordare alcun film su Wall Street con personaggi sentimentali, che ci ammorbano con discorsi ad altissima densità di ipocrisia. L’unico tratto accettato è il cinismo. L’unico possibile. Allontanarsi da questa via, allontana dalla verità. Poi, ovviamente, si ha tutto il diritto di voler vivere nella bugia. Tanti e tanti anni fa, sia pure per dire altro, Anna Maria Ortese lo descrisse benissimo nel racconto “Occhiali” de “Il mare non bagna Napoli”.

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