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Edwige Fenech: «Non è stato facile fare la produttrice come donna e attrice di film considerati di Serie B»

Al Fatto: «Ho perseverato, chiedevo che leggessero i progetti, invece tutti zitti. Ho smesso soprattutto per questo, nonostante i successi ottenuti».

Edwige Fenech: «Non è stato facile fare la produttrice come donna e attrice di film considerati di Serie B»

Il Fatto Quotidiano intervista Edwige Fenech. Torna al cinema con l’ultimo film di Pupi Avati, “La Quattordicesima Domenica del tempo ordinario”. La Fenech si racconta come una persona molto introversa.

«Sono abbastanza introversa e dopo tanti anni e alcune fregature non mi fido tanto; prima ero più aperta, avevo fiducia, condividevo; comunque estroversa non lo sono mai stata. Ero e sono una solitaria e questo non è un positivo. Sono costretta a rimproverarmi: “Dai, esci, vedi qualcuno”. Ho un temperamento quasi da reclusa; pure da giovane uscivo pochissimo».

Insomma, una Fenech per niente mondana.

«Direi di no, anche se vivevo in una società con forti tratti mondani e a volte ne traevo del piacere; la questione è sempre la stessa: anche da ragazza non ero tanto socievole da uscire, da frequentare la vita notturna; anzi, la vita notturna non mi piaceva. Ogni tanto cedevo agli inviti. Il problema non era solo la mondanità, ma anche il teatro».

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«Non potevo cenare all’una di notte, andare a letto alle tre e svegliarmi a mezzogiorno».

La Fenech parla di Gianni Boncompagni:

«Che tipo assurdo. Era il regista di Domenica In, ma per lui le prove non erano necessarie. Io insistevo. “Non servono a nulla”. Così arriviamo alla vigilia del debutto, tutti convocati, proviamo le posizioni, grosso modo affrontiamo i temi della puntata e poi ci saluta: “Buona domenica”. “Gianni ma non ho la scaletta”. “Non ti preoccupare, va bene così”. Lo pregavo! Eppure siamo andati d’amore e d’accordo, desiderava la naturalezza».

La Fenech è stata una produttrice.

«Orgogliosa dei miei lavori e non è stato semplice. All’epoca come donna, attrice, considerata solo per i film cosiddetti di Serie B, era facile ottenere una pedata nel sedere e una porta in faccia; io ho perseverato, chiedevo che leggessero i progetti, invece passavano i mesi, gli anni, tutti zitti. Ho smesso soprattutto per questo; neanche i successi ottenuti mi avevano dato accesso a riscontri e risposte e mi ero scocciata di regalare testate alle porte: a quella gente interessa lavorare solo con un gruppo ristretto di persone e io non ne ero parte».

Racconta che quando era davanti a Monica Vitti «le gambe tremavano» e anche di non essersi mai sentita bella.

«Mia mamma tentava di tirarmi su di morale; se una non è una montata e ha il senso della realtà, è normale guardarsi allo specchio e non esaltarsi. Per me tutte erano più belle e più brave».

 

 

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