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«Lo credevamo un supereroe immortale». Da Marca al New York Times: il lungo addio di Nadal

Spagna quasi a “lutto”: «era un riferimento spirituale, esempio di automiglioramento e fatica, agonista indomabile, generatore di entusiasmo ed energia”

«Lo credevamo un supereroe immortale». Da Marca al New York Times: il lungo addio di Nadal
Torino 20/11/2022 - tennis Atp / foto Imago/Image Sport nella foto: Rafael Nadal ONLY ITALY

A leggere i giornali – Nadal che annuncia il ritiro nel 2024 è ovviamente su tutti i giornali sportivi del mondo – non si capisce bene se dobbiamo piangerlo o no. Se quello annunciato ieri dal campione spagnolo è “un lungo addio”, una fine, o un’attesa per qualcosa che ancora deve sorprenderci. Ognuno ne dà una lettura più o meno sofferta. La più addolorata è quella di Marca, che a Nadal dedica tutta copertina.  Jesús Sánchez scrive della sua Last Dance, in un pezzo preventivamente nostalgico:

“Le persone che ammiri tanto, ti mancano ancora prima che se ne vadano, ecco perché il suo annuncio fa tanto male. Mi manchi anche se sei qui perché so che te ne vai. Un senso di smarrimento ci avvolge pur sapendo che lo rivedremo giocare tra qualche mese. È un mantello agrodolce, con il profumo della fine di un’era irripetibile in cui la Spagna si sentiva importante, unica, perché aveva sui campi da tennis un supereroe, esempio di automiglioramento e fatica, agonista indomabile, generatore di entusiasmo ed energia, un riferimento spirituale che con il suo coraggio ha smosso le montagne, insomma un mito che ha fatto cose impossibili e ora ha deciso di lasciare nell’armadio il mantello di Superman”.

E mo? si chiede ancora Sánchez. “E’ la domanda che mi sono posto quando Michael Jordan si è ritirato, quando Pau Gasol ha detto che stava bene, quando Federer ha messo via la racchetta, quando Kobe ha perso la vita in un dannato elicottero. Li credevamo immortali e loro vanno a fare questo compito per noi, invitandoci a guardare una partita che non ci piace per niente, quella con i ricordi che ci rendevano felici, ma che non torneranno più. No, non ci sarà un altro Rafa”.

Simon Briggs del Telegraph scrive che Nadal dovrebbe evitare di illudersi che il 2024 possa essere meglio di questo maledetto 2023 che userà per curarsi. Mica è Andy Murrey, lui. “Mentre ogni amante del tennis augurerà buona fortuna a Nadal con il suo piano, non si può fare a meno di pensare che sembri quasi Ingenuo. Dopo una carriera interrotta da decine di infortuni, Nadal dovrebbe sapere come chiunque altro che, da tennista con migliaia di chilometri all’attivo, normalmente non si sceglie il ritiro. E’ il ritiro che ti sceglie”. “Forse Nadal può considerare Andy Murray come precedente incoraggiante. Murray sembrava essere andato fuori strada agli Australian Open del 2019 – ricevendo persino un video di addio sul grande schermo – solo per vedere la sua carriera inaspettatamente rianimata dall’inserimento di un’articolazione dell’anca in metallo. Ma ci sono due avvertimenti in questa storia. In primo luogo, il Murray bionico rimane molto al di sotto del giocatore che era salito al numero 1 al mondo prima che la sua anca originale esplodesse nel 2017. In secondo luogo, Murray non è mai stato afflitto da tanti disturbi diversi, come Nadal”.

Poi Briggs scrive un’altra cosa: “c’è un record nello sport che potrebbe benissimo durare per sempre, ed è l’impresa apparentemente impossibile di Nadal di vincere 14 Open di Francia. Ha giocato al Roland Garros per 18 anni e ha perso solo tre partite (più un ritiro per problemi al polso). In uno sport globale e competitivo come il tennis, questo è semplicemente assurdo”.

Il che si lega con un lungo articolo che il New York Times al rapporto – la personificazione – tra Nadal e il Roland Garros, “il torneo del Grande Slam che ha dominato come nessun giocatore ha dominato in nessuna major del tennis. I suoi 14 titoli sembrano ancora un errore di battitura anche per quelli come me che lo hanno visto costruire quel record probabilmente indistruttibile, mattone rosso dopo mattone rosso”.

Quando giochi al Roland Garros 14 volte ti dici di aver avuto una buona carriera”, ha detto una volta Nicolas Mahut in un’intervista a L’Équipe. “Quando vinci 14 partite lì, non è affatto male. Quando arrivi alla seconda settimana 14 volte sei uno dei grandi giocatori. E quando vinci il titolo 14 volte, non c’è modo di capirlo. Non ci sono parole”.

Il Nyt scrive ancora: “Il suo regno a Parigi – pieno di bicipiti flessi, vincenti di dritto e abilità a rete sottovalutate – è uno dei più grandi successi in qualsiasi sport”.

E se per El Paìs il non detto è che, insomma, potrebbe anche finire così…  che potremmo anche non vederlo più, L’Equipe resta sul “suo” torneo, che era solo francese e che dopo di lui è anche spagnolo. Che ne sarà del Roland Garros senza Nadal? Il giornale francese scrive è che adesso senza quei tre, e senza di lui – li chiama “gli anni di piombo” – “quasi vent’anni di una storia codificata sfuma ad alta velocità”. Chi se ne impadronisce? Chi vince adesso? Alcaraz? Djokovic? Rune? Medvedev? Una cosa è certa – ed è poi il punto – non sarà Nadal.

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