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La festa scudetto del Napoli sul New York Times, tra bancarelle, cliché e superstizione

“Sono passati appena 12 mesi da quando rubarono l’auto a Spalletti per farlo andar via. Non c’è più la città con una squadra, ma una squadra con annessa una città”

La festa scudetto del Napoli sul New York Times, tra bancarelle, cliché e superstizione
Napoli 28/01/2023 - sagome giocatori SSC Napoli ai Quartieri Spagnoli / foto Image nella foto: sagome giocatori Napoli

Il boato del Maradona rilevato dai sismografi dell’Osservatorio Vesuviano, il più antico istituto di vulcanologia del mondo. Comincia con l’abusato racconto delle vibrazioni della città il lungo articolo che il New York Times dedica alla festa scudetto del Napoli. Non è la prima volta, ormai alla rilevanza internazionale di questa squadra dovremmo cominciare ad abituarci.

Dal punto di vista sismografico, dicono gli esperti al giornalista del Nyt, tutti i gol sembrano uguali. Solo che quest’anno gli strumenti registrano un’impennata delle rilevazioni: il Napoli ha segnato più gol. Ha registrato più vittorie. Ha avuto più motivi per festeggiare.

Il viaggio del New York Times si sposta su un altro caposaldo del racconto napoletano: le bancarelle. Il sold out di bandiere e sciarpe. E anche il più autorevole quotidiano del mondo sottolinea che “sono passati meno di 12 mesi da quando un gruppo di tifosi ha rubato l’auto dell’allenatore Luciano Spalletti e ha promesso di restituirla solo se avesse accettato di andarsene”.

Dato l’addio alla Champions, però, si torna a parlare dello scudetto e basta. E non ci si sottrae nemmeno per scaramanzia, troppo il vantaggio accumulato. “Forse la cosa più sorprendente, però, è il fatto che i tifosi condividano questa fiducia. Napoli è una città orgogliosamente superstiziosa, le sue strade, i suoi edifici e la sua gente sono travolti da un’autentica fede e rispetto per la scaramanzia: il potere della superstizione”.

Il cliché sono durissimi a morire. Ma tant’è. E infatti poteva mai mancare la citazione cimiteriale del “Non sai cosa ti sei perso”? Ma quando mai. Per il lettore americano, è comprensibile, è oro colato.

Napoli – continua il racconto – non ha tanto l’aria di una città in attesa dell’inizio di una festa, quanto quella di un locale in cui si beve parecchio. Sugli edifici fatiscenti, le bandiere pendono dai balconi e bloccano le finestre. Le maglie svolazzano sulle corde del bucato. Le vetrine dei negozi presentano manichini addobbati da giocatori del Napoli, indipendentemente da ciò che è in vendita. In intere strade sono spuntati baldacchini di striscioni e festoni”.

“Napoli non è più una città con una squadra di calcio. È una squadra di calcio con annessa una città”.

“Le decorazioni sono diventate un’attrazione in sé”. E il Nyt intervista anche Renato Quaglia, direttore di Foqus: “Ci sono migliaia di visitatori ogni settimana. È una nuova forma di turismo”

“Per le strade dei Quartieri Spagnoli – continua il Nyt – sembra che la vittoria imminente abbia il potenziale per cambiare la città. Il boom turistico ha portato alla nascita di un’economia estemporanea, un po’ ufficiosa: venditori ambulanti e venditori ambulanti vendono qualsiasi cosa gli venga in mente, purché sia Napoli bianco e blu. Per Quaglia “si tratta di una bolla speculativa, un fenomeno da sfruttare al momento”.

Per il New York Times l’aspetto superstizioso e folkloristico della faccenda è troppo appetibile. “Intere città non cambiano, non dall’oggi al domani, e in particolare non quelle che sono rimaste in piedi per migliaia di anni. Napoli potrebbe non sembrare un luogo superstizioso, non quando il tipo di vittoria che scuoterà la terra è così a portata di mano, ma quella cautela è lì, appena sotto la superficie”.

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