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Viscidi: «Gli allenatori dei ragazzi danno troppo peso al possesso palla, non insegnano la profondità»

A La Stampa il coordinatore tecnico delle nazionali giovanili della Figc: «I tecnici pensano alla tattica, non alla specificità del ruolo».

Viscidi: «Gli allenatori dei ragazzi danno troppo peso al possesso palla, non insegnano la profondità»
Db Volta Redonda (Brasile) 08/06/2014 - amichevole / Fluminense-Italia / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Cesare Prandelli-Gabriele Pin-Maurizio Viscidi

In un’intervista a La Stampa, Maurizio Viscidi, coordinatore tecnico delle nazionali giovanili della Figc spiega quali sono, secondo lui, i motivi per cui in Italia non ci sono più attaccanti. Viscidi attribuisce la colpa ai metodi di allenamento.

«Non è una questione di talento sparito e non si può parlare di vuoto generazionale. Quella che va corretta è la metodologia di allenamento nell’età dove il giocatore viene fuori. A 15, 16 anni vediamo ragazzi che promettono, ma, poi, è come se fermassero il loro processo di crescita per mancanza di conoscenze: al traguardo arrivano i centrocampisti, per le punte il discorso si complica».

Viscidi spiega:

«I tecnici delle giovanili allenano i primi settanta metri, non gli ultimi trenta. Pensano al lavoro di squadra, non alla specificità del ruolo: li sento dire “faccio il 3-5-2” o “no, è meglio il 4-3-3”, ma, a quell’età, serve allenare il giocatore».

Gli attaccanti non vengono più allenati alla profondità. Viscidi:

«Gli attaccanti, da un po’ di tempo, li definisco “muri” o “sponde”: questo gli chiedono gli allenatori, dialogare con i compagni venendo incontro al pallone. E la profondità? La percezione di quello che accade, o può accedere, nei secondi prima che si tocchi il pallone?».

E racconta cosa dicono le sue analisi.

«I giovani centravanti hanno paura di farsi male, non calciano di potenza perché preferiscono usare sempre il “mezzocollo”, non si divertono, il piede è debole, il colpo di testa inesistente, nelle conclusioni al volo hanno problemi spazio-tempo. Durante il lavoro in settimana si dà troppo peso al possesso palla che favorisce la crescita dei centrocampisti a discapito delle punte: attaccare il campo verso la porta avversaria è una rarità. I tecnici urlano ai loro ragazzi di giocare facile, di non osare, di guardare il compagno vicino».

All’estero fanno altro. Lo dimostra Haaland.

«C’è un comportamento chiamato “scanning” che ti fa capire il livello raggiunto dall’attaccante del Manchester City: lo “scanning” significa distogliere lo sguardo dal portatore di palla per prendere informazioni sulla posizione degli avversari, compagni e spazi. Guardare le altre variabili nei dieci secondi prima di ricevere il pallone è fondamentale, c’è uno studio norvegese che lo dimostra. Haaland fa 0,50 scansioni al secondo, prende informazioni come un centrocampista».

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