ilNapolista

Questo Napoli è tremendamente europeo e quindi napoletano

È una squadra costruita con intelligenza, lungimiranza, che vive poco i vicoli e i suoi continui cambi d’umore

Questo Napoli è tremendamente europeo e quindi napoletano
Db Milano 18/09/2022 - campionato di calcio serie A / Milan-Napoli / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Fabrizio Giuntoli

Si alza il sipario, si accendono le luci e sul palcoscenico sta per ricominciare la stessa commedia: la prossima (possibile) vittoria dello scudetto è la riscossa della città contro i poteri forti, uno straordinario esempio di come il sud risponde al nord ladrone e, addirittura, all’autonomia differenziata.

Il copione è semplice, un classico: abbiamo avuto la prima ferrovia, il bidet, la Federico II, e il Banco di Napoli era la banca più ricca d’Europa. Ora è la rivincita dai soprusi, il nostro momento. Questo Napoli rappresenta lo spirito dei neoborbonici, uniamoci e “facimme ammuina”.

Sul palcoscenico i soliti interpreti. I tifosi che in estate si erano arrampicati fino a Dimaro, sede del ritiro, per attaccare ovunque adesivi con su scritto A16, invitando il presidente De Laurentiis a traslocare a Bari. La colpa? Aver svenduto calciatori intoccabili e senza i quali la stagione sarebbe stata fallimentare: ma cosa dobbiamo fare con questo “Chiavica” (Kvaratskhelia).

Oppure lo show di una frangia degli ultras che ora lamenta di non poter partecipare alla festa scudetto, perché “snobbati” e trattati male. Gli stessi che si erano impegnati, lo scorso maggio, con uno striscione esposto all’esterno del Maradona, a ritrovare la Panda rubata a mister Spalletti, con l’invito, abbastanza esplicito, ad andare via.

Abbiamo assistito, insomma, ad una pantomima di stereotipi e luoghi comuni, triti e ritriti, che rispecchiano in pieno una parte di città, la peggiore, che non riesce a scrollarsi di dosso un vestito lercio che gli hanno cucito addosso. Anzi se ne compiace. Un pezzo di narrazione malata che nasconde sotto al tappeto i problemi reali, quelli atavici. È come se una un lato di Napoli vivesse una sorta di sindrome di Stoccolma, innamorato del proprio carceriere.

Una minoranza che per un momento ha fatto proseliti. Tant’è che il Napoli ha solo 12mila abbonati, un’inezia se rapportati a quelli di Inter e Milan, che viaggiano sulle 40mila tessere, o quelli della Roma, oltre 36mila. Una parte di città, di tifo, che ora sembra un ospite quasi indesiderato dopo le vittorie entusiasmanti. Basta vedere gli attestati di stima e di narrazione che arrivano in queste ore, in modo particolare dall’estero (ultima quella de Il Pais).

Ormai è chiaro che questo Napoli è tremendamente napoletano ed europeo. E se ne stanno accorgendo. Lontano mentalmente da come pezzi di città amano essere compatiti. E rende giustizia alla sua grande storia, come giustamente merita, “una città che tutti bene o male hanno visto ma che ben pochi conoscono”, per citare Eduardo.

È una squadra costruita con intelligenza, lungimiranza, che vive poco i vicoli e i suoi continui cambi d’umore. Alla base ha una società solida che ha lavorato ponendosi obiettivi, si è isolata dal rumore di fondo e per fortuna ha tirato dritto. È una squadra che non rappresenta l’immagine di come la città ama essere spesso disegnata e che dà voce ad un’altra Napoli, quella che viene nascosta. Quella che oltre ad essere “la città più bella del mondo”, oltre alla pizza, al mare e al presepe, il “cuoppo fritto”, è laboriosa, proiettata al futuro, sconosciuta anche ai palazzi del potere che troppo spesso amano la narrazione di una Partenope pulcinellesca.

Qualche anno fa, uno spagnolo, Rafa Benitez, disse arrivando sulla nostra panchina: “Ci sono cose straordinarie da vedere, forse neanche i napoletani sanno quanto è ricca la loro città”. I tempi forse stanno cambiando, grazie a 11 maglie azzurre, un prato verde e nessun napoletano protagonista tra i titolari. 

ilnapolista © riproduzione riservata