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Il calcio è un gioco collettivo ma se hai Kvaratskhelia è meglio

2-0 all’Atalanta, strepitoso gol scudetto del georgiano. Questo Napoli fa a pezzi i luoghi comuni. Eccellenza gestionale e intelligenza collettiva

Il calcio è un gioco collettivo ma se hai Kvaratskhelia è meglio
Napoli's Georgian forward Khvicha Kvaratskhelia celebrates after opening the scoring during the Italian Serie A football match between Napoli and Atalanta on March 11, 2023 at the Diego-Maradona stadium in Naples. (Photo by Filippo MONTEFORTE / AFP)

Il calcio è un gioco collettivo ma se hai Kvaratskhelia è meglio. Al minuto 60 di Napoli-Atalanta plana sul Maradona la versione football e georgiana del marziano di Flaiano. Khvicha riceve palla rasoterra da Osimhen. È spostato sul centrosinistra, ha davanti a sé Toloi. Lo punta mentre stanno accorrendo i rinforzi atalantini. Nel gioco di carte di tressette si direbbe che Kvara si chiama la sola. Si accentra per tirare. Poi fa finta di cambiare idea. Torna sul sinistro, in due si buttano quasi a corpo morto. Allora ritorna sul destro e a quel punto decide che è giunto il momento di scaraventare il pallone sotto la traversa. Saluti e baci. Se volete il gol scudetto per la copertina, eccovi serviti per questo Napoli-Atalanta 2-0.

Sì, lo sappiamo che il Napoli è un grande collettivo. Che Spalletti è un signor allenatore. È tutto vero. Ma Kvara è un calciatore fenomenale. Ne sono passati pochissimi come lui, e questo è uno stadio che oltre a Maradona ha visto giocare Sivori, Altafini, Careca, Higuain, Cavani. Kvara accontenta tutti, anche Spalletti. Lo fa nel primo tempo quando libera la falcata alla Juantorena per rincorrere un avversario e fermarlo con un tackle in scivolata. C’e n’è per tutti. Nel primo tempo, in cui il Napoli non ha brillato ma ha tenuto il comando del gioco, il telecomando lo ha avuto sempre lui. A un certo punto, da fermo, dalla sinistra, ne punta due e due ne supera, arriva davanti a Musso dalla linea di fondo e per poco non lo batte. A centro area Anguissa si arrabbia, secondo noi ingiustamente.

il gol di Kvaratskhelia

Effettivamente Napoli-Atalanta la giocano anche altri ventuno giocatori. Bisogna darne conto. Stavolta, a differenza di Napoli-Lazio, le curve tifano. Nessuno si offenderà se notiamo che la differenza tra una serata di sciopero e una senza sciopero è appena percepibile. Lo stadio si calda quando si scalda il Napoli. È così, è il calcio contemporaneo. È inutile stare lì a sbattersi.

A fine primo tempo Stanley Kubrick avrebbe detto che il Napoli ha perso la luccicanza, lo shining. Ed è anche vero. Del resto è quasi metà marzo e il mattino non ha più l’oro in bocca. Ma l’oro c’è, ed è sulla linea del traguardo sempre più vicino. A dodici giornate dalla fine i punti di vantaggio sono diciotto. L’equivalente di sei minuti nel ciclismo a 12 chilometri dall’arrivo.

Ma nel secondo tempo il Napoli dilaga. La resistenza della banda di Gasperini si affievolisce progressivamente. Ci prova prima Osimhen con una rovesciata che avrebbe provocato un movimento tellurico importante a Fuorigrotta. Poi il capolavoro del Caravaggio di Georgia.

Il Napoli è una squadra che non ha perso la fame. Sono tanti gli episodi che lo dimostrano, dal tackle in scivolata di Kvara di cui vi abbiamo scritto, a una corsa di Osimhen per proteggere un corner, a Kim che continua a incarnare una aggressività che intimorisce gli avversari anche se sono marcantoni come Zapata.

E stasera c’è gloria anche per Gollini. Cinque minuti prima del calcio d’inizio, Spalletti perde Meret per un dolore al polso. Gioca Gollini appunto. Che di fatto non tocca palla per più di un’ora. Poi, però, viene chiamato in causa e compie due parate importanti. Nel Napoli tutto funziona e tutti si fanno trovare pronti quando sono chiamati in causa. È un collettivo che Spalletti ha sincronizzato con precisione svizzera. O magari napoletana. Perché questo campionato sta facendo a pezzi i luoghi comuni. Se cercate l’eccellenza gestionale, dovete venire a Napoli. E se cercate l’intelligenza collettiva non la trovate più nella Juventus di Omar Sivori come in “Bianca” di Nanni Moretti. Ma a Napoli.

C’è da ricordare il minuto di raccoglimento per le vittime di Cutro. Che Gasperini ci prova a giocare il suo calcio uomo su uomo, con Pasalic che fa l’ombra di Lobotka, Scalvini segue Anguissa, e De Roon aspetta Zielinski. È tutto inutile. La cronaca ci suggerisce di ricordare il raddoppio di Rrahmani su colpo di testa. E sì perché De Laurentiis ha riportato Napoli alla tradizione: città aperta alle altre culture, altro che napoletanizzazione di tutto ciò che compare da queste parti. Kosovo, Georgia, Nigeria, Corea del Sud. Diciassette nazionalità diverse, al centro Napoli. E tra poco anche un tricolore sul petto.

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