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«Troisi, De Caro e Arena parlavano solo napoletano, non c’era verso di fargli dire una frase in italiano»

Enrico Beruschi al CorSera: «Alle medie ero in classe con Renato Pozzetto. Era esuberante, per farlo stare buono lo misero al primo banco accanto a me»

«Troisi, De Caro e Arena parlavano solo napoletano, non c’era verso di fargli dire una frase in italiano»

Il Corriere della Sera intervista Enrico Beruschi. Ha 81 anni, è attore, cabarettista e regista. Alle medie era in classe con Renato Pozzetto. Racconta:

«Bocciato in prima, Renato era piuttosto esuberante, per farlo stare buono lo misero al primo banco accanto a me
che avevo dieci in condotta. Non funzionò mica tanto».

All’istituto tecnico, invece, Beruschi trovò Cochi Ponzoni.

«Cochi il bello, l’unico che parlava bene inglese perché i genitori d’estate lo mandavano in vacanza a Londra. Durante le lezioni, in fondo all’aula, con un lato del banco sollevato in aria, fingevamo di essere su un caccia americano mitragliato dai giapponesi. Colpito a morte dal nemico, Cochi si accasciava sulla sedia gridando “Viva la mer…!”. Un giorno però il banco crollò a terra. Sospesi».

Beruschi si diplomò ragioniere.

«Ricevetti 34 offerte di lavoro. Scelsi il Credito italiano perché la Banca Commerciale voleva assumermi dal 15 di
agosto, eh no. Ci rimasi due anni, poi partii militare, ricominciai vendendo enciclopedie, prima di sistemarmi al biscottificio Galbusera, giovane e severissimo capufficio. Qualche anno fa ho rincontrato un mio vecchio venditore:
“Ci terrorizzavi tutti”».

Racconta il debutto al Derby.

«Ci andavo spesso, ma restavo in piedi per non pagare la consumazione. Il patron Walter Valdi mi arruolò così: “Ti, faccia di m…, dicono che sai far ridere, cominci domani”. Mi presentai con tre barzellette, una era quella dei due contrabbandieri travestiti da mucca».

La paga era di…?

«Di 4 mila lire al giorno, tipo dieci euro. Otto ore in ufficio, due di sonno, poi la sera sul palco, il mattino dopo di
nuovo in Galbusera. Teo Teocoli mi chiamava Biscottino. Due anni dopo mi licenziai».

Nel 1977 sbucò a «Non Stop» con I Gatti di Vicolo Miracoli, La Smorfia (Massimo Troisi, Enzo Decaro, Lello Arena), poi Carlo Verdone, Zuzzurro e Gaspare.

«Eravamo tutti comici sconosciuti, io il più vecchio, non avevamo una lira, la sera mangiavamo in una trattoria di Torino dove si spendeva poco, vicino agli studi Rai. Massimo, Enzo e Lello parlavano solo napoletano. “Se riuscite adire almeno una frase in italiano, con le e belle aperte, giuro che pago io il conto”, gli proponevo, niente da fare».

Al Festival di Sanremo con: «Sarà un fiore/Peccato che non sa telefonare/Che tante cose ti vorrebbe dire/Marisa dai non chiedermi cos’è». Beruschi:

«Ero fuori posto, non sapevo niente di musica, non conoscevo nessuno, alle prove facevo passare tutti avanti. La sera della finale Mike Bongiorno dietro le quinte mi avvisò: “Resta vestito che sei terzo”. Così rimasi in smoking bianco, poi arrivai quinto».

Nel 1982, concerto di Liza Minnelli a Milano, l’incontro con Silvio Berlusconi. Beruschi:

«Mi chiamò: “Uè, Enrico! Adesso ho una tv, fatti vivo”. Con Ricci e Nicotra ci siamo chiusi in un ufficio a Milano 2,
con le poltroncine incellofanate. Ed è nato Drive In».

I funzionari non volevano mandarlo in onda.

«Portammo la pizza con il numero zero a Berlusconi, in via Rovani. “Lasciatela lì, intanto andate a pranzo”. Quando siamo tornati l’aveva già guardata con segretarie, guardie giurate, addetti alle pulizie. Era piaciuto, via libera».

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