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Servillo: «Viviamo in una forma di feudalesimo digitale, affidiamo i pensieri a memorie esterne»

Intervista a La Stampa: «Alla base di tutto c’è la volontà di vendere sempre più oggetti. Il pericolo è grave soprattutto per le giovani generazioni».

Servillo: «Viviamo in una forma di feudalesimo digitale, affidiamo i pensieri a memorie esterne»
Roma 27/06/2017 - celebrazioni per il bicentenario della nascita di Francesco De Sanctis / foto Insidefoto/Image nella foto: Toni Servillo

La Stampa intervista Toni Servillo. Da mercoledì fino al 22 gennaio sarà in scena, a Milano, con “Tre modi per non morire”, di Giuseppe Montesano. Parla del rapporto con i social.

«Viviamo in un’atmosfera di menzogna, in una cultura avvelenata. In una forma di feudalesimo digitale in cui affidiamo i nostri pensieri a delle memorie esterne. Alla base di tutto, naturalmente, c’è la volontà di vendere: sempre più oggetti, sempre di più. Il pericolo è grave soprattutto per le giovani generazioni, i primi lettori ai quali si rivolge Montesano. Ecco, di fronte a tutto questo smarrimento, a questa inquietudine, ho sentito il bisogno di non stare zitto, di fare un passo indietro e di diventare testimone: per mettere in circolazione certi pensieri. Senza abdicare all’atto della recitazione, ma facendo da tramite alle parole di chi, nel passato, la vita è riuscito a reinventarla. L’arte è nutrimento, ne abbiamo bisogno come il pane. Oggi, troppo spesso la cultura è solo informazione o passatempo. Ma non bisogna cedere al pessimismo. E scavare sotto la cenere, perché la brace è ancora accesa».

Gli viene chiesto cosa pensa della situazione politica italiana e dei tagli che minacciano la cultura nel nostro Paese, ma Servillo non ci casca:

«Non mi va per niente, perché significherebbe produrre frasi e polemiche che finirebbero digitalizzate. Esattamente quello che detesto».

E allora parliamo, più positivamente, del ritorno del pubblico a teatro dopo la pandemia, e nonostante la crisi.

«Certo il cinema ha sofferto di più, e c’entra il feudalesimo digitale di cui le parlavo: durante i lockdown ci siamo abituati a farci arrivare a casa di tutto, anche i film e gli spettacoli. È più difficile, adesso, stanare la gente. Ricordo che da ragazzino gli amici andavo a prenderli suonando al citofono, non si rimaneva nelle case, si stava in giro. Ora le abitudini sono cambiate».

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