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Quando Maradona, sospeso per doping, giocò per pagare i riflettori dello stadio dell’Atletico Agrario

La storia sul Clarìn: era gennaio 1992, e la pazza idea di quattro amici divenne realtà. “Chiese lui una foto a noi, non ci potevamo credere”

Quando Maradona, sospeso per doping, giocò per pagare i riflettori dello stadio dell’Atletico Agrario

Alla fine del 1991, Maradona era sospeso per doping. Aveva lasciato l’Italia, dove era anche accusato di evasione fiscale. Nelle stesse settimane nella piccola sede del Club Atlético Agrario era arrivata una lettera della Tres Arroyos Soccer League, che gli intimava di ampliare gli spogliatoi per poter iscriversi al campionato. Per la prossima competizione. Capirai, avevano già fatto uno sforzo enorme per illuminare il campo. A De la Garma, nei dintorni di Buenos Aires, poco più di 1.500 abitanti, ci sono due club: l’Agrario, che è il più umile, e il Club Deportivo Garmense, con soci che per lo più possiedono campi in zona. I lavori li facevano gli stessi calciatori. L’illuminazione del campo costava 10.000 pesos, l’equivalente di 50 salari minimi dell’epoca. E dunque: che c’entra Maradona in questa storia?

Un gruppetto di cinque-sei calciatori, quelli che si occupavano di realizzare i lavori, pensa ad una raccolta fondi. L’idea successiva è una scintilla, di quelle che si sparano tra quattro risate e due birre al bar: e se invitiamo a giocare Maradona?

Qui comincia la storia. La racconta al Clarìn uno dei protagonisti.

A José Luis Zamora, Joselo, era giunta voce che Maradona sarebbe stato un po’ di giorni a Marisol, località balneare a poco più di 160 chilometri da De la Garma. E così si mettono in macchina, una F100 arancione modello 80, Route 3 per scendere verso l’Atlantico: Hugo López, il portiere, Carlitos Gil – ex giocatore – e suo figlio Facundo, e Joselo. Devono prima trovarlo, Maradona. E poi pensare a come chiederglielo.

È bassa stagione, non ci sono turisti. “Abbiamo comprato carne per fare un barbecue e nel negozio la donna ci ha chiesto che ci facendo lì. E gli abbiamo detto: siamo venuti a cercare Maradona. Oh, è con Pablo Bahía, ci ha detto lei. E così siamo andati ​​alla casa dove alloggiava, e c’era un ragazzo magro alla porta. «Guarda, Diego dorme, ma alle 10 va a correre. Quando si alza per correre, guarda attentamente», ci dice”.

Pablo Bahía è una leggenda del calcio locale. I quattro vanno da lui e gli parlano del progetto, gli raccontano delle luci, dello spogliatoio e dell’idea che Maradona giocasse contro l’Agrario per racimolare i soldi per realizzare i lavori. Si mettono d’accordo per tendergli una specie di agguato. 

Ogni giorno alle 13 Maradona e i suoi si recano su una spiaggia vicino alla foce del fiume. Quelli di Agrario, che avevano già tutto per la grigliata, vanno nel luogo concordato e accendono un piccolo fuoco. L’idea è di passare inosservati in modo che l’incontro sembrasse casuale. All’ora indicata arriva una carovana di macchine. Da lontano riconoscono l’unico che non poteva passare inosservato in nessun angolo del mondo.

“Aspettiamo un po’ e l’affrontiamo. Diego e Coco (Villafañe, suo suocero all’epoca) si urlavano addosso mentre giocavano a bocce. Ma lì Pablo lo chiamò «Diego, vieni, ci sono dei ragazzi che vogliono conoscerti». Non so nemmeno cosa ci siamo detti… Che dici a Diego? Inoltre, sapevamo che altri gli avevano offerto del denaro per apparire da qualche parte e lui li aveva mandati a quel paese. Gli abbiamo detto cosa volevamo. Diego si ferma e inizia a dire: «Guarda, quando sono in vacanza…», stava per dire di no, ma Pablo lo interrompe e lui gli dice: «Oh Diego, la facciamo una partita per queste facce sporche?», e lì Diego ha detto: «Va bene, dai». Siamo rimasti in silenzio per 30 o 40 secondi, non sapendo cosa dire. Lì Hugo, il portiere, ha detto: «Diego, dici sul serio? Se poi non vieni, ci picchiano». Diego stava mezzo così, su un fianco, e gli dà una pacca sulla spalla: «Se Diego ti dice che viene, viene».

Bisogna accordarsi per la data. Maradona si fa due conti, gli dice che doveva tornare a Buenos Aires perché la sua cavalla – l’ha chiamata Dalma Nerea, come la prima figlia – correva all’ippodromo di Palermo. Gli dà appuntamento per il 15 gennaio per fissarla. Si salutano.

“Per un mortale, quello che ci è successo è stato incredibile. Pazzesco. C’era il 99,9% di probabilità che ci dicesse di no. Ma stavamo tornando con un sì. Ma a sette o otto metri, Carlitos dice: «Non ci siamo fatti una foto! Torniamo indietro!». All’improvviso abbiamo sentito la voce di Diego: «Ehi ragazzi, tornate voglio fare una foto con voi».

Il racconto prosegue: il 15 gennaio tornano lì, comprano di nuovo la carne e tornano in spiaggia. E incredibilmente trovano di nuovo Maradona. “Quando è passata la carovana di Diego e ci hanno visto, ci hanno suonato il clacson. Sentivamo di essere già amici. Stabilimmo una data: il 25 febbraio sarebbe stata la partita. E lì gli abbiamo chiesto se gli andasse bene di intitolare il campo a lui. Lo abbiamo sorpreso. Era senza parole, non se l’aspettava. «No, come posso prenderla male?! Certo che sì, e fate più spazio perché verranno i miei vecchi», ci ha detto”.

Non c’era nulla di firmato. Era tutto verbale. Parola di Diego. Il giorno della partita verso mezzogiorno arriva una persona che parla italiano. “Avevano scoperto la partita e avevano mandato un giornalista a coprirla. «Maradona torna al calcio» è la notizia nata a De la Garma.

La partita finisce 1-0 per gli “Amici di Marisol”, e il gol, su punizione, ovviamente lo segna Maradona.

“Penso sempre: perché Diego è rimasto così dentro di noi? Perché è come uno è di famiglia, umile. Quel giorno si è commosso… si è cambiato su uno sgabello. Credo che con noi quel giorno sia tornato, non so se alla sua infanzia, ma ha rivissuto qualcosa dei suoi tempi umili. Non abbiamo mai più tolto quella panchina. È nello stesso posto”.

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