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Il movimento ultras non è cultura ma il codice ultras non va liquidato con superficialità

Come diceva Gassman ne “La grande guerra” di Monicelli:” se a difendere la Patria ci fossero solo brave persone, allora, te saludi Patria”

Il movimento ultras non è cultura ma il codice ultras non va liquidato con superficialità
Empty seats with stickers of ultras are pictured during the German first division Bundesliga football match Werder Bremen v Bayer 04 Leverkusen on May 18, 2020 in Bremen, northern Germany as the season resumed following a two-month absence due to the novel coronavirus COVID-19 pandemic. (Photo by Stuart FRANKLIN / POOL / AFP) / DFL REGULATIONS PROHIBIT ANY USE OF PHOTOGRAPHS AS IMAGE SEQUENCES AND/OR QUASI-VIDEO

Da circa tre giorni a questa parte è in corso una gara di aggettivazioni e considerazioni fuori luogo, rispetto alla effettiva conoscenza del chiusissimo mondo ultras, per gli avvenimenti di Badia al Pino. La stampa mainstream, esclusa un’analisi più ricca ed approfondita del CorSera, rimesta nei soliti luoghi comuni, nelle solite superficialità e nelle analisi parziali, lette e rilette negli anni, ogni qualvolta siano avvenuti episodi come quello dell’otto gennaio. Il lettore medio chiede questo, vedere qualcuno peggio di se stessi è un balsamo.

Certamente non si può definire cultura il movimento “ultras”, spoglio di raffinatezze ed eleganza, quando si tratta di comunicare il proprio pensiero, a mezzo striscioni.

La cosa che però sfugge al lettore superficiale, all’utente medio del social, insomma ad un osservatore che voglia leggere solo ciò che vuole, è la capacità di questo movimento di dimostrare solidarietà e spirito di corpo al proprio interno, indipendentemente dalle appartenenze calcistiche e geografiche, romanisti esclusi dopo il 2014.

Esempio noto a pochi, ma esaustivo su certe dinamiche, ci riporta ad inizio anni 2000, quando il capo della curva atalantina Claudio Galimberti, detto “Bocia”, imputato ad un processo al Tribunale di Napoli, fu prelevato alla stazione di Napoli dall’allora capo dei Fedayn Massimiliano Amato detto “il bandito”, portato a destinazione e “scortato” sino al ritorno. Segno che l’appartenenza allo stesso universo, ma su pianeti diversi, vada nettamente al di là di quanto “comunicato” sul campo degli scontri.

Anche la copertura economica, delle spese difensive degli ultras atalantini, da parte degli ultras del Napoli, per degli scontri con i tifosi romanisti, segna una sinistra similitudine con i clan di camorra/mafia, che si preoccupano del welfare dei loro affiliati in difficoltà, ma con l’enorme differenza che il movimento, nel caso di specie, si coalizza e solidarizza unito, avverso una parte colpevole della violazione di regole d’ingaggio note a tutti: niente armi da fuoco negli scontri.

“L’espulsione” della parte romanista del movimento, e la tutela del codice d’onore da parte di molte curve italiane ed europee nei confronti di chi ha violato il codice d’onore ultras la dice lunga su quanto le motivazioni di questi gruppi, opinabili e non condivisibili, siano profondamente ancorate a retaggi ancestrali e legate ad un codice spesso incomprensibile ai più.

Se pensiamo che poi tantissimi valorosi soldati ucraini sono orgogliosamente membri delle curve delle squadre ucraine, allora aveva ragione uno splendido Vittorio Gassman ne “La grande guerra” di Mario Monicelli:” se a difendere la Patria ci fossero solo brave persone, allora, te saludi Patria”.

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