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Gattuso continua con la narrazione Gattuso: «Sono umile, non mi piace parlare di me con la stampa»

Riprende il leit-motiv dell’uomo semplice. Al Mundo: “In panchina sembro un cane, non mi piaccio. Mi conosce davvero solo mia moglie”

Gattuso continua con la narrazione Gattuso: «Sono umile, non mi piace parlare di me con la stampa»

La sfida tra Real Madrid e Valencia in Supercoppa spagnola (ha vinto il Real ai rigori) ha dato modo alla stampa internazionale di scavare – per la prima volta davvero – nel rapporto interrotto tra Ancelotti e Gattuso. Ma soprattutto in Gattuso e basta. C’è un’intervista più intima delle altre che ha pubblicato ieri El Mundo, dalla quale esce fuori il “vero” Gattuso. Uno a cui – nonostante dica il contrario – piace molto parlare di sé, a raccontarsi in una certa maniera.

Per esempio quando parla di umiltà. Ne aveva già parlato tantissimo quando era al Napoli, quando si autoproclamava “un top”. E’ convinto di essere umile. E giornali l’hanno sempre servito a dovere, narrando questa sua patina di uomo semplice, diretto, umilissimo. Al Mundo ci torna parlando del figlio, che pure gioca a calcio.

“Io ero un giocatore che dava tutto per la squadra, in campo sapevo cosa dovevo fare e nello spogliatoio sapevo la mia importanza. Ha fatto tutto con piacere. Non ho mai saputo di essere un leader, stavo solo adempiendo al mio ruolo, che era quello di rubare più palloni possibili per la squadra. L’ho avuto molto chiaro. È sinonimo di intelligenza. Non solo nello sport, nella vita è fondamentale che un uomo sappia qual è il suo ruolo e come può migliorare le persone che lo circondano. Io la chiamo umiltà. Le persone umili sanno cosa devono fare. È fondamentale.

“Mio figlio ha un problema. Quest’anno sono contento perché ha cambiato mentalità. Sta capendo che deve fare dei sacrifici: perdere chili, entrare in campo con entusiasmo… e non guardare sempre i video di quando giocavo io. Io ero io e lui è lui. Non è scritto da nessuna parte che deve diventare professionista. Deve divertirsi ed essere calmo con se stesso, non guardare sempre suo padre perché tutti parlano di lui. In questi cinque o sei mesi è cambiato. Nella vita bisogna avere fame, non solo nello sport. Se non c’è fame, le cose si possono fare, ma se vuoi essere diverso, devi pensare a lavorare a lungo”.

Nell’intervista Gattuso parla anche di un altro cavallo di battaglia della sua narrazione: le origini calabresi, il sud. Dice – cliché dei cliché – che a Milano sono diversi, “pensano solo al lavoro, al sud è tutto più calmo“. E che noi, tutti, abbiamo un’immagine distorta di lui: “Mia moglie è la persona che mi conosce meglio. Da giocatore sembravo sempre arrabbiato. Ogni partita per me era una guerra, era la vita. Ora è lo stesso. Voglio sempre vincere, mi sento male quando perdo e ho una faccia di merda. A volte quando mi vedo non mi piaccio. A volte quando sono in panchina sembro un cane, sempre in movimento. Penso di dovermi controllare e mi dico che nelle vene ho sangue non orzata. Negli ultimi anni ho cercato di lavorare su questo. Fuori dal campo sono una persona diversa. Molto timido, mi piace interagire con le persone…”.

Ho un’immagine diversa perché non mi piace parlare molto con la stampa, dice ancora cercando di smentire invece la sua prossimità, vicinanza con molti media. Gattuso ha da sempre una ottima stampa.

“Penso sempre in calabrese. Parlo calabrese con mio padre e mia madre, non con mia figlia, ma con mio figlio da quattro o cinque anni, perché gli piace passare due o tre mesi d’estate in Calabria per stare con mio padre e mia madre”.

Il personaggio Gattuso, l’umile uomo di fatica sempre incazzato timido con la stampa, si compie alla domanda “se potessi portare in questo Valencia un giocatore con cui hai giocato, chi sarebbe?”

Lui risponde: “Ho giocato con grandi calciatori, con sette o otto Palloni d’Oro, con Paolo Maldini che non riusciva a vincerlo… non so… Direi Jaap Stam”.

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