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Se volete capire cos’è la modestia, leggete Gattuso

L’intervista del Messaggero è un sospiro irrisolto, la versione calcistica di Manuel Fantoni. Si auto-elegge tra “i top”: “dovevo esserci anche io”. Si dice “pronto per una nazionale”. Spalletti è già avanti grazie al “suo” 4-2-3-1

Se volete capire cos’è la modestia, leggete Gattuso

“E così optai per il mare”. Gennaro Gattuso non è riuscito ad imbarcarsi sul cargo che batteva bandiera liberiana, e non ha scoperto cosa trasportasse quel cargo. Ma ora che è “in vacanza forzata” a Marbella – le virgolette sono dell’intervistatore del Messaggero – parla con la stessa modestia di Manuel Fantoni. Che aveva fatto “tutto”, in navigazione, mentre invece a Rino l’hanno impedito. Gli hanno tolto l’orizzonte della gloria, quando a lui spettava.

Tutta l’intervista a “Ringhio libero” – capite bene che l’uomo non si presta alle catene, ora che è allo stato brado – è un lungo asmatico sospiro irrisolto. Se ne avverte il refolo, quando elenca i colleghi che alleneranno in Serie A e lui no:

Si riferisce a Mourinho, Allegri e Sarri? “Anche a Spalletti e Inzaghi. In A c’è il top. Dovevo esserci anch’io“.

Il senso di vuoto, la delusione per un lampante oltraggio alla meritocrazia condiziona l’intera chiacchierata. Gattuso non è un modesto, nemmeno falso. È un propagatore di se stesso. E infatti, prima di autodefinirsi “top”, si dice anche “pronto per una nazionale”. Ma non senza aver messo le mani avanti – non sia mai che la federcalcio inglese legga il Messaggero e gli proponga il posto di Southgate – “anche se a me piace di più il lavoro quotidiano”.

Che non lo vengano a cercare, insomma. Lui ha inventato il 4-2-3-1, prima ancora che Spalletti lo eleggesse a modulo della Roma nel 2005. Anzi, Gattuso ci tiene a sottolineare che proprio Spalletti, ora, al Napoli, “continuerà il mio lavoro con il 4-2-3-1. È già avanti, insomma…”. I puntini sospensivi, ne siamo certi, sono lo strumento sintattico che il giornalista usa per sottintenderne l’autoironia, un mezzo sorriso che pure gli sarà scappato.

Che però Gattuso consideri il Napoli una squadra prefabbricata da lui, tatticamente già pronta all’uso, è palese. Spalletti deve solo cesellare quel capolavoro inespresso. Poi, quando vincerà, il suo merito sarà stornato a posteriori. Va da sé.

È uno stato dell’anima comprensibile. Hai portato il Napoli fuori dalla Champions per due anni di fila, il mondo dovrà dartene atto. Come la critica che negli stessi due anni narrava il genio, le intuizioni, il “tuo gioco”. Dietro un Grande Motivatore c’è sempre una buona stampa.

E infatti avevi trovato subito un altro contratto, alla Fiorentina. Poi persino l’avevi stracciato per rispondere alla sirena miliardaria del Tottenham. La carriera correva in proiezione verticale. Gattuso, già al 90′ di Napoli-Verona, era Buzz Lightyear: “Verso l’infinito e oltre!”.

Invece il tonfo, carpiato. Improvviso. L’assurdità di quella protesta dei tifosi inglesi, le tenebre del malinteso:

“La delusione è stata grande. Mi hanno descritto in modo diverso da quello che sono. E non c’è stato niente da fare. Il mio dispiacere è di non aver avuto la possibilità di difendermi. Di spiegare che quello raccontato dalla gente in Inghilterra non ero io. Ho dovuto accettare una storia che mi ha fatto male più di qualsiasi sconfitta o esonero”.

La storiaccia con Commisso, poi. Le accuse d’essere il cavallo di Troia di Mendes. Aspettiamo ancora – la stampa maliziosa – che davvero annullino la clausola di riservatezza, come minacciato da entrambe le parti. Ma no: “Meglio lasciar stare, se n’è parlato anche troppo. Inutile aggiungere altri particolari. Storia infinita”.

La fierezza del grande allenatore, dal curriculum inoppugnabile, si legge tra le righe di tutta la pagina. Quando gli chiedono cosa farà, ora, riuscirà a stare fermo per un po’?, lui traballa, ma s’affida alla dichiarazione che ogni tecnico esonerato – dalla C2 a salire – ha mandato ormai a memoria:

“Intanto studio, mi aggiorno. Vediamo poi quale chance si presenta.  Ma senza la smania di cercare una sistemazione a qualsiasi costo. Sono pronto, se capiterà, per una nazionale“.

I top, al giorno d’oggi, fanno così. Lo chiamano “anno sabbatico”. Perché disoccupato, a Manuel Fantoni, non glielo dici.

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