A Specchio: «Dalle nostre parti si fa più ginnastica che pallone e quando giocano l’allenatore interviene ogni due secondi per correggerli».

Specchio intervista Bruno Pizzul. Il tema sono i Mondiali in Qatar.
«Questa del Qatar mi sembra un’edizione accettabile sul piano della qualità, anche se più per i singoli giocatori che per il gioco di squadra. Ci sono tanti, bravissimi talenti che fioriscono dappertutto, tranne che in Italia…».
Pizzul continua parlando di come sono cambiati i settori giovanili, con il passare degli anni.
«Per noi vecchi pallonari non è bello vedere i settori giovanili delle squadre invasi da ragazzi provenienti da altre realtà, un bene da un lato, un male dall’altro. Nelle scuole di calcio italiane non si divertono più: quando andavo all’estero vedevo i settori giovanili di Ajax e Barcellona, dove gli allenatori lasciavano che i ragazzi esprimessero estro e fantasia. Dalle nostre parti invece si fa più ginnastica che pallone, e quando giocano l’allenatore interviene ogni due secondi per correggerli. Forse Maradona a queste condizioni avrebbe smesso di giocare».
Pizzul parla anche di come sono cambiati i campioni, come Ronaldo. Fuoriclasse come CR7
«rappresentano l’incapacità di respirare il romanticismo del calcio. Si parla dei giocatori attuali attraverso il filtro dei social, mentre una volta c’erano rapporti più profondi e più veri anche con i giornalisti».
Racconta quali erano i suoi passatempi preferiti quando seguiva il calcio.
«Sono sempre stato amante delle carte e del bigliardo. Ci giocavo anche coi ragazzi del Milan, ricordo belle partite con Prati e Radice. Con Rocco invece giocavo a tressette “a non prendere”, ci si prendeva per i fondelli, del resto è un gioco aderente a Rocco, che era tutta una presa in giro. Il “Paron” era sorprendente per questo, i giocatori con lui non vedevano l’ora di allenarsi perché era un divertimento continuo».
Su Rivera:
«Era bravo a scopone scientifico, un altro modo per cui alla fine guadagnava in prestigio all’interno della squadra».
Pizzul ricorda la strage dell’Heysel: la finale Juventus-Liverpool del 1985 a Bruxelles. Era lì per fare la telecronaca.
«Dentro di me si è aperta una ferita, era inaccettabile che fossi costretto a raccontare di 39 morti. Avevo chiesto
alla Rai di non fare una telecronaca vera e propria, limitandomi a una descrizione asettica e impersonale. Da Roma mi dissero di non parlare delle vittime, ma l’errore dei miei capi fu lasciarmi la linea troppo a lungo, così ho dovuto barcamenarmi come potevo. Ricordo Boniperti che mi raccontò di essere corso sotto il Settore Z dell’Heysel subito dopo il crollo: qualcuno gli chiese “presidente, mi trovi un prete”, ma lui non riuscì a trovarlo».
Infine, un pensiero a quando all’estero guardavano storto l’Italia per il catenaccio.
«Nel 1973 il Milan vinse la Coppa delle Coppe battendo 1-0 il Leeds, gol di Chiarugi dopo cinque minuti e gli altri
85 minuti tutti a difendersi. Quando lasciai la mia postazione a fine partita dovetti passare davanti a tutti gli altri colleghi stranieri, e tutti mi applaudirono sarcasticamente. Poi dopo l’arrivo di Sacchi cominciarono a guardarci in un altro modo».