Al CorSera: «Ci sono giornalisti che vengono invitati in tv o che scrivono libri solo perché sono aggressivi, ma così si smette di essere giornalista, si diventa altro».
Il Corriere della Sera intervista Fabio Fazio. Dal 2003 conduce “Che tempo che fa”, sulla Rai. Lo accusano da sempre di essere un buonista. Si difende.
«Ho sopportato per anni l’etichetta di buonista, non è stato facile, mi creda. Non sono un buonista, cerco solo di non essere un professionista dell’aggressività. Anche perché non lo so fare. Ci sono giornaliste e giornalisti che vengono invitati in tv o che scrivono libri solo perché utilizzano l’arma dell’aggressività, dell’intrusione nelle vite degli altri. Ma così si smette di essere giornalista, si diventa qualcosa d’altro. Non dimenticherò mai la lezione che ricevetti da Fernanda Pivano. Mi disse che Hemingway una volta corresse un tema a sua nipote perché la bambina aveva iniziato il componimento con la parola “io”. Ci vorrebbe meno “io”, secondo me».
Fazio racconta della moglie, Gioia Selis, con la quale ha due figli, Michele e Caterina.
«Io e Gioia ci siamo conosciuti durante una recita scolastica, pensi un po’. O, meglio, lei recitava e io ero parte della giuria che doveva dare i voti. Evidentemente quei voti furono buoni perché siamo ancora qui a parlarne».
Perché i salviniani detestano così tanto Fabio Fazio?
«E che ne so».
Forse perché è assimilato alla sinistra.
«Se così fosse, ogni volta la sinistra dovrebbe difendermi dagli attacchi, non crede? Invece, silenzio. Evidentemente non sono uno inquadrabile, sono un bersaglio facile perché non ho etichette anche se, certo, sono un progressista».
Fazio racconta che si è lanciato nella produzione di cioccolato.
«Con grande incoscienza! È successo che durante le chiusure per la pandemia, una famosa fabbrica di cioccolato, la Lavoratti di Varazze, ha interrotto la produzione. Non per motivi economici, ma perché si fermava tutto quello che non era essenziale, se ricorda. Allora quel luogo, che per me è un ricordo d’infanzia, rischiava di chiudere. Con l’amico Davide Petrini decidemmo di rilevarlo e di rilanciarlo. Adesso è diventata per me una fabbrica di idee: lavoriamo su progetti culturali, facciamo cioccolata in forma di libro, edizioni speciali. Sono felice».