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Bruno Conti: «Nello spogliatoio parlavamo tanto dei nostri problemi e delle famiglie, oggi non più»

A La Verità: «Se oggi racconto la nostra vita nel calcio ci prendono per patetici. Con i social e i telefonini non c’è più dialogo».

Bruno Conti: «Nello spogliatoio parlavamo tanto dei nostri problemi e delle famiglie, oggi non più»

La Verità intervista Bruno Conti, storica bandiera della Roma e campione del 1982. Racconta che ha rischiato di finire a giocare a baseball nella Major League americana. Suo padre disse no all’offerta che gli era stata fatta.

«Vivendo a Nettuno, non c’era disponibilità di campi, solo quello dell’oratorio, andavo a fare il chierichetto pur di trovare un campetto. Il baseball lo giocavi d’estate e d’inverno facevi calcio. Quando si sono presentati una sera a casa il presidente Alberto De Carolis e quello del Santa Monica, senza che sapessi nulla, io neanche parlai, ma sarei partito alla grandissima… Quando mio padre rispose “Mio figlio è troppo piccolo”, non mi sono risentito. Oggi, che lavoro nel settore giovanile, vediamo molto l’esasperazione di un bambino… Io pensavo solo a divertirmi. Ecco perché ho ottenuto risultati…».

Amava più il baseball o il calcio? Conti risponde:

«Mi piacevano ugualmente tutt’e due, perché diciamo che Dio mi ha dato queste doti naturali, l’inventiva, la tecnica, io nel baseball ero bravo come lanciatore, curva, drop, palla lenta, studiavo giornalmente un lanciatore del Nettuno, Alfredo Lauri. Anche nei tornei di calcio, tutti mi chiamavano».

Conti racconta che l’unico che ha sempre creduto in lui è stato un suo zio.

«L’unica persona che ha creduto in me è stato mio zio Fiore, faceva il barbiere a Nettuno, mi portava a fare i provini nella Roma, mi accompagnava a Tre Fontane a fare allenamento con la primavera, gli devo tanto, mio padre si alzava alle 4 del mattino e tornava la sera alle 7, non avevamo la macchina, pensavo di più a portare da mangia’ a casa, mia madre mi diceva “va’ a lavorare, che ti dà il pallone?”».

In un provino, Helenio Herrera ritenne Conti troppo gracile.

«Beh, da quello che so, si è verificata la stessa cosa con Messi, che fece provini anche in Italia… A volte si valuta più il
fisico che la tecnica. Xavi, Iniesta, ma anche Politano del Napoli, per dire… Herrera, e anche il Bologna, mi dissero:
“Bravo tecnicamente, ma non puoi giocare a calcio per il fisico”. Non ho mai mollato, ma non perché pensassi di diventare un calciatore importante…».

Conti e il suo rapporto con le sigarette:

«Io sono nel settore giovanile, magari non è nemmeno bello dirlo. Ma proprio è la mia vita… Fumo fin da ragazzino,
vendevano le sigarette a 20 lire l’una, quelle sciolte, poi mio padre, quando rientravo la sera, mi sentiva l’alito e prendevo le caramelle di menta… Bearzot sapeva che qualcuno di noi fumava, Causio, Dino Zoff… Ma non ci rimproverava, gli interessava il nostro rendimento in campo. Adesso fumo la sigaretta elettronica».

Conti rimpiange i tempi in cui in una squadra di calcio i giocatori parlavano molto anche delle loro vite private.

«Se oggi racconto la nostra vita nel calcio ci prendono per patetici… Si parlava tantissimo tra noi, di problemi, di famiglia, di situazioni, non ci sono più queste cose. Oggi, con questi social e telefonini, non c’è più dialogo».

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