ilNapolista

Ambrosini: «Sulla finale di Istanbul sono state dette tutte cazzate. Nell’intervallo litigammo tra noi»

A Sportweek: «Eravamo in vantaggio 3-0, volevamo finire il lavoro, si discuteva su come farlo. Ancelotti ci disse di stare zitti. Dudek fece un miracolo».

Ambrosini: «Sulla finale di Istanbul sono state dette tutte cazzate. Nell’intervallo litigammo tra noi»
Mg Milano 12/09/2021 - campionato di calcio serie A / Milan-Lazio / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Marco Cattaneo-Massimo Ambrosini-Marco Parolo

Sportweek intervista Massimo Ambrosini, ex calciatore del Milan, con cui ha collezionato 489 presenze e vinto 4 scudetti, 2 Champions e tanti altri trofei. Oggi è commentatore a Dazn. Il tema dell’intervista è, naturalmente, Milan-Juve in programma questo pomeriggio. Ambrosini ripercorre il suo passato rossonero.

«Stavamo bene insieme. Quando fai parte di un gruppo sei obbligato a stare insieme agli altri. Ma questo obbligo non fa diventare automaticamente di qualità il tempo condiviso. Essa viene determinata dalla qualità delle persone. Dal carattere, dalla disponibilità, dall’umiltà e dalla condivisione dei momenti, sportivi e privati. Quel Milan aveva un’attitudine al lavoro, al sacrificio e all’accettazione dei reciproci difetti e differenze che l’ha reso speciale. Eravamo persone diverse nella visione del calcio e della vita, ma questo non ci ha impedito di incontrarci, riconoscerci e di scendere a compromessi, in campo e fuori, che hanno contribuito a farci vincere tanto».

Ambrosini ha parlato di alcuni tra i suoi ex compagni di squadra, come Maldini.

«È sempre stato il papà del gruppo. Da lui ci sentivamo protetti. Col tempo questa sensazione si è un po’ affievolita e le distanze si sono ridotte, perché da una parte noi crescevamo, dall’altra lui ha iniziato ad assorbire la nostra spensieratezza e goliardia»

Su Pirlo:

«Il genio timido. Aveva intuizioni brillanti in campo e fuori. Era geniale nelle sue battute, nei modi di fare, nelle prese in giro a Gattuso. Non ti aspettavi che uno come Andrea prendesse per il culo Rino, invece lo faceva e in risposta si beccava le forchettate in testa a tavola».

Il più scaramantico era Inzaghi.

«Metteva le mutande con cui aveva segnato quando ancora stava nella Primavera, la maglia della salute con cui aveva segnato un gol decisivo…».

Il più competitivo? Quello che non ci stava a perdere neanche a carte?

«Tutti. Un segreto delle nostre vittorie è che eravamo capaci di menarci nella più inutile delle partite di allenamento. Questo ci ha permesso di alzare il livello. Il “peggiore” di tutti era Shevchenko».

Ambrosini ricorda la famosa finale di Champions League di Istanbul, contro il Liverpool. Nell’intervallo il Milan era in vantaggio 3-0.

«Si sono dette un mare di cazzate. La verità è che nei primi cinque minuti, seduti negli spogliatoi, noi giocatori litigavamo. C’era la volontà di finire il lavoro e si discuteva sul come farlo nel modo più rapido e sicuro. La tensione era altissima, altro che risate e canti come qualcuno si è divertito a raccontare. Intervenne Ancelotti: “Basta, avete stufato, adesso state zitti perché vi dico io due cose da fare”. Rientriamo in campo e il secondo tempo riparte da dove era finito il primo: dominio assoluto da parte nostra. Poi in un quarto d’ora succede che loro ce ne fanno tre e pareggiano. Ricominciamo ad attaccare, fino alla parata miracolo di Dudek su Shevchenko all’ultimo minuto dei supplementari. Dudek stesso, anni dopo, disse che una forza ultraterrena aveva sollevato il suo gomito a deviare la palla scagliata da un metro. Io so che ancora non ci credo…».

Perché non hai preso la strada dei tuoi ex compagni, diventando allenatore o dirigente?

«Perché ho voluto dare priorità alla qualità della vita. Durante la carriera ho coltivato altri interessi che ho dovuto mettere da parte. Una volta smesso, li ho ripresi. Me la sono goduta. E non ho rimpianti».

Con Allegri ha vinto uno scudetto: lo riconosce nell’allenatore che fa fatica ora alla guida dei bianconeri?

«Sta avendo difficoltà a capire che l’ambiente che ha trovato è diverso da quello che aveva lasciato. La Juve con cui ha vinto cinque scudetti era fatta da grandi giocatori che avevano idee e una forza anche interiore superiore a questa, un po’ meno pronta. Le difficoltà di Allegri dipendono insomma anche dal materiale che si è ritrovato. Ma questo non vuol dire che la Juve non sia attrezzata per primeggiare».

ilnapolista © riproduzione riservata