A Il Fatto: «Ero tunisino con origini ebraiche… Il minimo comun denominatore degli artisti è la fragilità: basta una parola per distruggerli»
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Su Il Fatto Quotidiano un’intervista a Jocelyn. Nato a Tunisi, a 11 anni si trasferì in Francia con la famiglia e studiò al Conservatoire national supérieur d’art dramatique di Parigi. Nel 1974 esordì su Telemontecarlo, dove ha diretto,
prodotto e condotto trasmissioni. In seguito il passaggio in Rai, con la conduzione del programma musicale
“Discoring”. In carriera è stato anche regista di “Domenica In”. Attualmente è su Rtl 102.5. Racconta la sua carriera, ma anche la sua famiglia.
«Ho dovuto resistere alle pressioni dei miei genitori: secondo loro dovevo trovarmi un mestiere vero e serio, per questo all’inizio ho tentato di accontentarli con un impiego in banca, poi da aiuto ragioniere e infine come venditore. Ho venduto di tutto: enciclopedie, televisori e soprattutto automobili».
Il trasferimento in Francia dalla Tunisia non è stato semplice.
«In Francia hanno provato a intaccarmi continuamente il sorriso. Il razzismo è inciso sul mio volto sotto forma di cicatrici, ma non solo perché tunisino, pure per le mie origini ebraiche. Cercavo in tutti i modi di evitare i guai, ma se attaccato ero diventato bravo a parare i colpi».
Ha fatto anche il venditore di auto.
«Vendevo auto di lusso usate, ma garantite da me. Curavo i miei clienti, avevano il numero di casa: se accadeva qualcosa alla macchina, potevano chiamarmi a qualunque ora, mi vestivo, se era di notte svegliavo il meccanico e andavo a salvarli».
L’italiano lo ha imparato con i film
«Non conoscevo una parola. Solo qualche termine in siciliano grazie ai miei vicini di casa in Tunisia. Ho imparato con i film; nella tv monegasca a un certo punto ho tolto il monoscopio, ho piazzato della musica e parlato sopra: sono diventato un personaggio misterioso del piccolo schermo».
Qual è il minimo comun denominatore degli artisti?
«La fragilità: basta una parola per distruggerli».
La più fragile era Mia Martini.
«Mia Martini, e a causa delle dicerie; in trasmissione arrivavano altri artisti e su di lei mi raccontavano delle storie assurde; ogni volta mi incazzavo e rispondevo: “Non sono superstizioso perché porta male”».
Indica una differenza tra tv italiana e francese:
«In Italia c’è molta più improvvisazione, esiste l’arte di arrangiarsi. E non è un male».